di TIBERIA DE MATTEIS A distanza di trent'anni, dopo il record di trenta milioni di copie, Umberto Eco aggiorna il linguaggio de «Il nome della rosa», inserito dal quotidiano francese «Le Monde» tra i cento libri più rappresentativi del XX secolo.
Nonsarà una riscrittura completa come ha scelto Alberto Arbasino con il suo«Fratelli d'Italia», ma un adattamento per rivolgersi ai nuovi lettori degli anni Duemila, in particolare ai giovani abituati fin da piccoli alle tecnologie digitali. La seconda versione de «Il nome della rosa» arriverà nelle librerie italiane il prossimo 5 ottobre da Bompiani, lo stesso editore che lo stampò per la prima volta nel 1980, mentre nel corso del 2012 usciranno le sue traduzioni straniere. La prima stampata sarà quella francese, pubblicata dall'editore parigino Grasset. Vincitore del Premio Strega nel 1981, portato al cinema nel 1986 dal regista Jean Jacques Annaud con un film interpretato da Sean Connery, il romanzo originale è stato tradotto in 47 lingue e ha venduto 6.500.000 copie solo in Italia e 30 milioni nel mondo. La nuova edizione manterrà invariati titolo e trama, avrà 550 pagine e costerà 16 euro. Non si conoscono ancora i dettagli della reinvenzione di Eco. L'unica vera garanzia è che non muteranno la struttura, il plot e gli intrighi del mistero medioevale. I nuovi lettori ritroveranno il monaco Guglielmo da Baskerville e il suo allievo Adso di Melk alle prese con una serie di omicidi in un monastero benedettino, tutti legati a un libro proibito. Secondo le poche indiscrezioni finora filtrate, sembra che Eco abbia apportato modifiche a numerosi riferimenti eruditi e ai passaggi in latino presenti nel suo longseller. Romanzo di culto per gli intellettuali appena uscito e approdo culturale di massa, soprattutto sull'onda della popolare trasposizione cinematografica, «Il nome della rosa» ha segnato la nascita di un genere in grado di contaminare l'avventura storica e l'inchiesta letteraria con il giallo e il thriller, coniugando la riflessione metafisica con l'azione e la suspense attraverso il gusto dell'ignoto e dell'ambiguità. Chissà come reagiranno a questa nuova edizione, i ragazzi di oggi, tanto appassionati di fantasy e horror, cresciuti con Harry Potter, «Il leone, la strega e l'armadio» e la saga «Twilight»... «Ogni autore ha il diritto di fare e rifare ciò che vuole» ha commentato Raffaele La Capria. «Il tempo che passa cambia anche il rapporto con i propri libri. L'Eco di oggi non è più quello di allora. Probabilmente ha voglia di dialogare con il suo mondo creativo. Anche io ho corretto il mio primo libro per un'edizione successiva con piccole variazioni di cui magari i lettori non si sono neppure accorti, ma io le conosco e le ricordo bene». «Tutto è lecito in scrittura» dichiara Dacia Maraini, che aggiunge: «Penso che l'idea di Eco sia buona se la sente come bisogno e necessità di avvicinarsi ai giovani. In realtà il suo romanzo era stato proprio apprezzato dalle ultime generazioni. Personalmente non sono mai intervenuta su un mio testo del passato, ma non escludo che possa accadere in futuro. C'è chi riscrive persino i libri degli altri! Pensiamo, per esempio, a tante trasposizioni in dialetto di capolavori». «Dovrei riscrivere "Porci con le ali", magari senza parolacce?», si chiede ironicamente Lidia Ravera, che però esprime pure qualche perplessità. «Avevo vent'anni ed ero un'altra persona. Non capisco il senso culturale di una simile operazione. Forse c'è crisi di idee? Si può anche conquistare il silenzio, diventando grandi. Magari ci sono, invece, ragioni profonde. Il romanzo di Eco ha avuto successo perché era un libro innovatore sulla narratologia più che sul linguaggio. L'esito felice di un lavoro è molto legato al momento in cui viene proposto, senza nulla togliere al suo valore. Stimo molto Eco come intellettuale e saggista ancor più che come narratore. Lo stile de "Il nome della rosa" era già raffinato, perciò leggerò questa revisione con grande curiosità e attenzione per comprendere il percorso compiuto sulla lingua che si può cogliere soltanto attraverso l'immersione diretta nell'opera. Con le migliori intenzioni nascono libri brutti, con le peggiori si può dar vita a capolavori. È impossibile giudicare a priori». Si rivela molto affascinato dalla notizia Federico Moccia: «Reputo che se Eco abbia preso una decisione di questo genere, sarà interessante e curioso per lui mettersi alla prova. Sicuramente per un cultore della lingua e della trasformazione lessicale nel tempo si tratta di un confronto stimolante che riguarda anche da vicino i suoi insegnamenti. Nel mio piccolo, ho ridotto la prima versione di "Tre metri sopra il cielo" del 1992 per la pubblicazione realizzata con Feltrinelli nel 2004. Mi è sembrato giusto aggiornare le usanze, i costumi e la comunicazione dei giovani, spostando l'ambientazione dagli anni Ottanta al decennio successivo per inserire le nuove tecnologie come i cellulari e i computer. Ho dovuto anche operare corposi tagli per rientrare nelle dimensioni richieste dall'editore». A rappresentare le voci narrative emerse in anni recenti è Chiara Gamberale, classe 1977, con il primo romanzo «Una vita sottile» del 1999 e Premio Campiello (Selezione Giuria dei Letterati) per il libro «La zona cieca». Colpita dall'iniziativa di Eco, la trentenne romana non si riconosce ancora pronta per un viaggio a ritroso nel suo universo letterario. «Credo che il rapporto con i propri libri per gli scrittori sia qualcosa di privato e ingiudicabile come per tutti può essere il rapporto con il corpo. Quindi, rispetto all'esigenza avvertita da Eco mi limito a essere curiosa come lettrice. Per quanto mi riguarda, poi, per il momento sono ancora troppo inquieta e ho bisogno di nuove storie come strumenti di conoscenza, mia e del mondo. Anche se non è detto che decidere di lavorare esclusivamente sul linguaggio di un libro già scritto non possa dimostrarsi un approccio altrettanto valido».