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di FRANCESCO DAMATO La lettura dell'ultimo libro di Walter Veltroni «L'inizio del buio» (Rizzoli, pagine 270), fa venire il dubbio che l'autore sia sprecato come politico a causa della sua sensibilità.

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"Partito"l'anno scorso, come lui stesso ha raccontato, per scrivere la storia di Alfredino Rampi, la cui voce di bambino caduto il 10 giugno 1981 in un pozzo a Vermicino gli "era rimasta dentro", con quell'amplificazione televisiva portata in tutte le case con una diretta veramente storica, Veltroni scoprì una "incredibile coincidenza". Dalla rassegna dei giornali dell'epoca egli si rese conto che proprio mentre Alfredino cadeva in quel maledetto pozzo da cui nessuno sarebbe riuscito a tirarlo fuori vivo, tra la speranza prima e l'angoscia poi di milioni di telespettatori, un giovane antennista di 24 anni fu buttato in un altro "buco nero" dalle Brigate Rosse. Che lo uccisero il 3 agosto, al termine di un lungo "processo" filmato anch'esso con una telecamera. Non c'era naturalmente in quell'altra vicenda alcuna diretta televisiva da mandare in onda. C'erano solo immagini destinate soprattutto ai "combattenti" per dimostrare, come spiegava una foto diffusa dai carnefici, che "l'unico rapporto della rivoluzione con i traditori è l'annientamento". La colpa di quel povero antennista, Roberto, quasi fresco di nozze e in attesa di diventare padre di una figlia che non avrebbe mai conosciuto, era di essere fratello di Patrizio Peci, il primo terrorista pentito. Che dopo la cattura si era lasciato convincere dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa a parlare. Ne sarebbe derivato lo smantellamento delle formazioni in guerra contro lo Stato. In cambio della promessa, non mantenuta, di salvargli la vita, i terroristi strapparono a Roberto Peci la condivisione della loro versione del "tradimento" del fratello. "Sono andato bene?", chiese il poveretto agli aguzzini dopo averli accontentati davanti alla telecamera, secondo la testimonianza del carceriere raccolta da Veltroni. Che ha potuto anche accertare che l'autore del sequestro, non ancora in clandestinità in quel periodo, "passava la notte a casa a guardare in tv Vermicino", la diretta cioè sul bambino nel pozzo. Alle prese con i drammi paralleli di Alfredino Rampi e di Roberto Peci, e con il diverso ruolo assegnato nei due casi alla telecamera, destinata nel primo ad accendere in qualche modo i cuori e nel secondo a spegnerli, Veltroni dà veramente il meglio di sé. E mostra, come dicevo, i limiti di un uomo forse troppo sensibile per mantenere il passo spietato della lotta politica. Di cui è stato vittima almeno tre volte. La prima fu nel 1994, quando la strada della segreteria del Pds-ex Pci, appena sconfitto dall'esordiente Silvio Berlusconi, fu spianata a Veltroni dalla consultazione della base ma sbarrata dai vertici a favore di Massimo D'Alema. La seconda fu quattro anni dopo, quando Fausto Bertinotti fece cadere il primo governo di Romano Prodi, di cui era vice presidente proprio Veltroni. Che reclamò le elezioni anticipate, convinto che il suo partito e gli alleati provenienti dalla sinistra dc potessero vincerle su una linea chiaramente riformista. Ma D'Alema preferì cogliere l'occasione per sostituire subito Prodi a Palazzo Chigi, convincendo il buon Walter a subentrargli alla segreteria di un partito destinato dopo tre anni a perdere le elezioni. Seguì un dorato e lungo esilio al Campidoglio, dove tuttavia Veltroni approdò con tanto di voto popolare. La terza occasione politicamente mancata fu quella delle elezioni anticipate del 2008. Alle quali, da primo segretario del Pd, nato l'anno prima dalla fusione tra i post-comunisti e i post-democristiani di sinistra, Veltroni ebbe il coraggio di prepararsi rifiutando l'alleanza con la sinistra estrema, responsabile della fine anche del secondo governo Prodi. Ma commise l'imprudenza di allearsi all'ultimo momento con Antonio Di Pietro. I cui condizionamenti si sarebbero rivelati, per un partito di aspirazione riformista come il Pd, ancora più pesanti della sinistra massimalista. Fui personalmente tra gli elettori sottratti, proprio per quell'apparentamento con Di Pietro, impostogli chissà da chi o da che cosa, alla tentazione di votare Veltroni, pur con il naso montanellianamente turato per il ricordo del Pci. Ma lo scrittore Veltroni lo voterei volentieri, se facessi parte di una giuria letteraria.

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