Vasco Rossi "Vivere o niente" (Emi) La copertina già racconta tutto: alla vigilia dei sessant'anni, il signor Rossi si guarda indietro, con espressione preoccupata ma ancora ribalda e sulfurea, pronta a investire il diavolo in retromarcia, casomai
Anchese nelle foto interne dell'album Vasco scende dall'auto e la incendia ("per non lasciare traccia", spiega), a quest'età si può andare avanti per pura forza di inerzia. Cercando di mantenersi "in equilibrio sopra la follia", come cantava tanti anni fa. Aspirando a quella minima punta di saggezza sufficiente e necessaria per fargli affrontare il tempo del ripensamento, per accettarsi anche senza il cappellino da eterno giovane calato sulla fronte, ed esporre fiero la sua pelata, le sue rughe, mantenuto tonico da quella miscela alchemica del rock che a volte distrugge e più spesso preserva, e chi se ne frega del nodo alla cravatta, siamo vivi anche se non del tutto impeccabili nè particolarmente educati. Vasco si avvia al completamento del suo sesto decennio di vita spericolata, ma già da qualche tempo aveva deciso di mostrarsi riflessivo, come per esempio nel precedente "Il mondo che vorrei". Qui rincara la dose: ed è un Rossi determinista, come quando nel "Manifesto futurista della nuova umanità" grida «Signore perdonami se non ho più la fede in Te / Ti faccio presente che / È stato difficile / Abituarsi a una vita sola senza di Te», e confessa di aver «quasi finito anche la pazienza che ho con me…», sostenendo che il presunto "uomo nuovo" debba ammettere la casualità dei fattori da cui scaturisce l'esistenza, piuttosto che invocare un Dio che forse non c'è o non ha voglia di ascoltare. Ma è anche il poeta di strada che cerca di non perdere il contatto con il cielo, come quando ne "L'aquilone" lo sentiamo dire che «Lo sai che si potrebbe stare sempre/ Appesi a quell'aquilone / Guardando il mondo che si muove / E la sera che muore». Naturalmente, è un album concepito per girare al massimo regime negli stadi, quelli che attendono Vasco per il prossimo tour estivo (sbarcherà all'Olimpico di Roma l'1 e il 2 luglio), con i suoi rockacci micidiali, irresistibili, maschilisti e sexy (come "Non sei quella che credi" o "Sei pazza di me", dove pure non manca una buona dose di autoironia), ma anche con il drive potente dei pezzi che restano inchiodati in testa, come il primo singolo "Eh...già" («Sembrava la fine del mondo / Ma sono qua / E non c'è niente che non va / Non c'è niente da cambiare / Col cuore che batte più forte / La vita che va e non va»), o come la ballatona in tempo medio "Vivere o niente", o quella quasi omonima che apre il cd, "Vivere non è facile" (non da oggi quel verbo è praticamente un'ossessione per il rocker di Zocca). È anche un disco fatalmente americano: come dimostra il mood vagabondo, alla Eagles, di "Starò meglio di così" o quello alla Canned Heat di "Prendi la strada". E non poteva essere altrimenti, visto che l'opera è stata concepita a Los Angeles, dove Rossi si chiude per gran parte dell'anno nello studio Speakeasy (due brani "fantasma" incisi lì sono i regali per l'edizione digitale del cd stesso). Un emiliano in California, tanto per capire cosa c'è alla fine dell'Occidente, tanto per vedere se non sia tutto un miraggio e non convenisse invece starsene arroccato sull'Appennino in attesa di una qualche folgorazione spirituale. Ma niente da fare: Vasco è magnificamente condannato a scrivere canzoni su canzoni, senza posa, perchè solo quest'ebbrezza interiore gli dà un "senso" anche quando la vita non sembra averne. Non è più una disperazione post-adolescenziale, è una disillusione da uomo maturo, che ha avuto tanto senza riuscire a conservare quasi niente, se non la benzina che serve per mettere paura al diavolo e per dare fuoco alla macchina. Tanto poi, si può continuare a piedi, finchè ce n'è. Voto 4 e mezzo/5