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di ANDREA DI CONSOLI Dopo aver raccontato la grande epopea spirituale e materiale del Mediterraneo (nell'indimenticato "Breviario mediterraneo"), una Venezia "minima" e laterale (in "L'altra Venezia"), la drammatica dissidenza antisovietica nell'Est Euro

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Matvejevicsi muove con agilità tra greci e fenici, tra egizi e palestinesi, tra persiani e romani, e ne decripta gl'incerti etimi, le abitudini sopravvissute in pochi frammenti scritti, e i valori di quello che El Džahiz ha felicemente definito "il re di tutti i nutrimenti". Attraverso il pane Matvejevic racconta le migrazioni, le miserie, la politica e i riti religiosi del passato, senza mai sottovalutare l'aspetto simbolico e cultuale che il pane spesso riveste: "Il profeta Isaia preannunciò un'epoca in cui 'le spade si sarebbero trasformate in aratri e le lance in falci'. Ma il cielo non ha esaudito le sue parole". In "Pane nostro" viene anche raccontato il rapporto che Roma, nell'antichità, ha avuto con il pane. Scrive Matvejevic: "A Roma iniziarono a cuocere il pane molto più tardi che ad Atene. Il culto di Cerere è più recente di quello di Demetra". I romani erano abituati a mangiare la polenta di grano, che in passato veniva chiamata "puls", e scoprirono il pane "solo dopo la conquista della Macedonia da parte delle legioni, nel II secolo avanti era volgare". Durante la spedizione in Macedonia vennero catturati numerosi fornai greci, che furono portati a Roma con la forza, tanto che per molti decenni il termine "graecus" era sinonimo di "pistor", fornaio. Il libro di Matvejevic racconta anche aspetti drammatici, come la carestie, allorquando, per sfamare "cortei di vagabondi e di mendicanti", s'impastava il farro o l'avena con "manciate di papavero, ghianda, carruba e castagna, ceci, fave e lenticchie, semi di sesamo, girasole, cumino, coriandolo, pimpinella e anice". Questi pani improvvisati e malsani (spesso vi veniva impastata finanche la sabbia e la segatura) procuravano incubi, epilessie, vertigini e insonnie. Tante, infine, le pagine dedicate in questo vademecum poetico e filosofico al pane come simbolo religioso giudaico-cristiano (nel "Corano" il sacro alimento è citato poche volte), anche se i migliori panettieri di sempre, secondo Matvejevic, "erano i fenici, e, insieme a loro, erano apprezzati quelli della Lidia e anche quelli provenienti dalla Cappadocia" (nel libro viene anche spiegato perché il pane non si sia diffuso in India, Cina, Corea e Giappone, popoli che hanno preferito saziarsi con il riso). Oggi il pane, specie in Occidente, è solo un temibile "contorno", perché, come scrive Matvejevic: "I ruoli sono mutati: il pane nei tempi nuovi è diventato sempre più un contorno. E' una delle differenze da cui il mondo dei poveri si distingue da quello dei ricchi: i primi ne vogliono sempre di più, gli altri vi rinunciano volentieri". E questo, in ultima analisi, ci fa capire come "Pane nostro" non sia solo un viaggio nel passato, visto che miliardi di persone, ancora oggi, purtroppo, di pane, "ne vogliono sempre di più".

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