di MARIO BERNARDI GUARDI Nella mitologia greca, Manìa è la personificazione della follia, assomiglia alle Erinni, mostruose divinità infernali, e ce la mette tutta a sconvolgere la mente degli uomini.
Intempi di diffuso "disagio della civiltà", abbiamo imparato a conviverci e davvero non ci sono ignoti gli "alfieri" dell'"idea fissa", con l'"ego" narcisisticamente ipertrofico. E variamente "coniugato" quando si ha a che fare con gli scrittori. Come Jonathan Franzen, il celebre autore di "Le correzioni" (Einaudi, 2003), che, forse sotto la spinta di quel titolo, ha costretto la rinomata Harpers & Collins a ritirare dal mercato migliaia di copie del suo ultimo romanzo "Libertà" - in Italia uscirà a febbraio, sempre da Einaudi - dopo aver scoperto che l'edizione "british" è piena di errori. Piccoli, ma capaci di intaccare la sua immagine del "grande" Franzen.. Dunque, blocco del libro fino all'"errata corrige". C'è chi già dice che Jonathan esageri, forse perché la gloria troppo presto conquistata - nell'89, a trent'anni, con "La ventisettesima città" - gli ha dato alla testa. C'è chi lo ricorda, subito dopo, sprofondato nella depressione, causa matrimonio andato a rotoli. Tutto può darsi. Esagerare significa, etimologicamente, "eccedere": e gli scrittori eccedono spesso. Ognuno con la sua manìa. Ieri poi il bel Franzen si è preso un altro po' di pubblicità con la storia dei suoi occhiali, oggetto fondamentale per la bella scrittura. Glieli hanno rubati e gli hanno chiesto un riscatto mica male: centomila dollari. Ma l'allarme è presto rientrato. Non perché Jonathan si è comprato immantenente un altro paio di lenti, ma perché i due lestofanti burloni, imbucatisi al party in onore dello scrittore, sono stati individuati dalla polizia che addirittura in elicottero ha recuperato il maltolto. Ma insomma Franzen è il paradigma di genio doc come sregolatezza doc? E contorno di follia o di patologie in (dis)ordine sparso? Beh, capita. Pensiamo a Federico Nietzsche, genio e collezionista di ossessioni. La principale è quella di non assomigliare alla sua creatura, e cioè a Zarathustra. Troppe contraddizioni da "borghese piccolo piccolo" per essere un Superuomo, al di là del bene e del male. E Giovanni Pascoli, bloccato a una forma di morbosa sensualità-sessualità mezzo infantile e mezzo voyeuristica per l'ossessione del nido "violato"? Già, il colpo di fucile che gli aveva ammazzato il padre e una crescita normale. Pavese si uccide per quello che il suo biografo Davide Lajolo definì "il vizio assurdo" e cioè l'ossessione della morte: mettila insieme a quella di un amore finito male e l'unica soluzione diventa quella del sonnifero assassino. Ed Hemingway? Eccessivo nel suo vitalismo - cazzotti, guerre, corride, rivoluzioni e amori - allorché il tempo che incalza incomincia a spegnere i bollenti spiriti, si ammazza con una fucilata: decisamente una terapia d'urto contro l'ossessione della giovinezza che se ne va. Mentre, giusto cent'anni fa, il giovane Carlo Michelstaedter (23 anni), autore di "La persuasione e la retorica" (Adelphi, 1995), si uccide in nome della propria sovranità interiore. Una vita "borghese", mediocre e conformista gliele porterebbe via, insieme alla giovinezza. Tra passione e ossessione, l'"ego" è un colpo di pistola.