Roberta Maresci Fare da tata alla propria mamma? È un'avventura secondo Meg Federico, giornalista del National Post, che ha scelto il quesito per sottotitolare il romanzo «Questa casa non è un ospizio» (Sperling & Kupfer, pag.288), in uscita il 18 maggi
Tuttoinizia quando Meg riceve una telefonata: la ricca, egoista e alcolizzata madre ottuagenaria è stata ricoverata in ospedale. «Vivevo nella Nuova Scozia, a più di millecinquecento chilometri dalla casa della mamma nel New Jersey, e a una distanza ancora superiore da West Palm Beach. Avevo un lavoro (raccolta fondi), tre figli (un maschio di quattordici anni; due femmine, rispettivamente di dodici e undici), un marito (Rob) e un cane. Mia madre stava diventando cieca e, mentre perdeva a poco a poco la vista, si era messa a bere anche più di prima», racconta Meg abituata a tenere sott'occhio mamma Addie come quando si osserva «una signora che, con gli occhi bendati, avanza in monociclo su una fune sospesa nel vuoto. Non riesci a fare a meno di fissarla mentre vacilla lassù, del tutto ignara di trovarsi a quindici metri da terra. E se ti azzardi a metterla in guardia sul pericolo che corre, lei pensa che cerchi solo di rovinarle il gioco. Poi, proprio quando sei sicura che stia per precipitare e sfracellarsi al suolo, ecco che la signora bendata con un colpo di reni recupera l'equilibrio. "Visto?" esclama. "Tu ti preoccupi troppo”. "Mi preoccupavo, eccome”, scrive Meg, preoccupata che un giorno o l'altro la mamma le sarebbe piombata di sotto e, per giunta, proprio addosso. Comunque, dopo quella telefonata, Meg lasciò casa, marito e lavoro, attraversò il continente e tutto per prendersi cura della madre, colpita da ictus, e del suo secondo sposo, malato di Alzheimer. In pratica la stessa situazione in cui si trovano almeno 76 milioni di persone che, solo negli Stati Uniti, sono alle prese con genitori non autosufficienti. Non c'è che dire, il tema è di grande attualità. Trattato con ironia ma anche grande senso del rispetto. Anche quando Addie socchiude le labbra, aspettando avida la nuova dose di farmaci, per poi sprofondare dentro il proprio corpo, mentre il respiro cessa del tutto. «Era la fine. Ma non era ancora finita - racconta l'autrice - Mi ero prefigurata la scena miliardi di volte. Avrei lavato la mamma con acqua in cui galleggiavano alcune fettine di limone (non chiedetemi da dove mi fosse venuta questa idea). Poi, dopo averla vestita con l'ennesima camicia da notte, avrei riempito la stanza di fiori e l'avrei lasciata sul letto per un po', giusto il tempo di assimilare l'evento. Invece, patapum!». La salma non era più quella della "mamma”, ma un problema da risolvere: il funerale, il testamento, l'eredità, le leggi e i documenti chiesti nello Stato del New Jersey. "Nella Nuova Scozia, non c'è bisogno di documenti per morire!”, rispose Meg ai paramedici che, constatando l'evidenza replicarono: "Ah, buon per voi canadesi. Noi, qui, non vogliamo beccarci una denuncia e non vogliamo neanche accusare lei di omicidio, capisce?”.