BERLINO Escono a testa alta gli italiani Ozpetek, Soldini e Scamarcio, mentre porta a casa il premio Bacco Lino Banfi, per il boom sul mercato tedesco della commedia da lui interpretata «Maria, ihm schmeckt's nicht» (Indovina chi sposa mia figlia)
Ma,anche se l'Orso d'oro è andato al turco «Bal» (Honey) di Kaplanoglu e l'argento per la regia al regista Polanski per «The Ghost Writer», gli applausi sono stati tutti per Gérard Depardieu, che ha fatto sognare il pubblico per le sue ingenuità nel ruolo di un magnifico idiota, grasso e grosso, in «Mammuth» (ultimo film in concorso a Berlino) di Benoit Delepine e Gustave Kerven. La storia è quella di un uomo, soprannominato Mammuth (come la sua rara moto d'epoca anni '70), che ha ormai raggiunto l'età della pensione. La vita per lui potrebbe finalmente diventare più rilassata, visto che lavora dall'età di 16 anni. Ma basta un colloquio all'Inps per scoprire che nessuno dei suoi vecchi datori di lavoro gli ha versato i contributi. Così, per Mammuth, spinto dalla moglie (Yolande Moreau), comincia un viaggio, comico e donchisciottesco, a caccia dei suoi datori di lavoro, in sella alla sua fiammante moto. Questo gli consentirà di ricordare il suo perduto amore (Isabelle Adjani) e di riscattarsi, anche grazie alla nipote (Miss Ming), riscoprendo lo spirito poetico e artistico che alberga in lui, in un finale a sorpresa che scatena risate e buonumore. Depardieu, la sua allegria si lega al piacere per la buona tavola, soprattutto italiana? «Non è un mistero che amo la cucina mediterranea, ho un ristorante, adoro l'olio e il vino italiano, come il Moscato e il Passito». Con dei lunghi boccoli biondi, lei recita la parte di un goffo operaio sfruttato che tenta di ricostruire i contributi per la sua pensione: per il lavoro ci si può battere a ogni costo? «I miei registi hanno già raccontato che per più di un anno venivano nel mio ristorante, senza scrivere neanche una riga. Poi ho detto sì, ho lavorato, ho imparato la sceneggiatura a memoria, indossando persino i miei kaftani e le mie pantofole. L'ho fatto perché ho creduto in questo film, che non è affatto violento, ma è solo una commedia che parla di come certi lavori ti tolgano alla fine la dignità e la possibilità di comunicare. Ormai nessuno si diverte più a lavorare, neppure voi giornalisti. Ho fatto questo ruolo perché ora credo sia necessario difendere quel cinema che guarda all'umanità, a quei personaggi creati da Pasolini, Rossellini e De Sica». Cosa l'affascina del suo personaggio? «"Mammuth" è un'opera d'arte, come se l'avesse girato Marcel Duchamp. Non c'è recitazione, ma semplicemente l'esserci senza fare nulla. Un tempo avevamo Pasolini, Rossellini e De Sica, gente che si impegnava per le sue idee, oggi non ci sono più cose così interessanti da difendere, ma bisogna resistere alla massificazione. Per il mio personaggio, considerato uno sciocco che sa a malapena leggere e scrivere, mi sono in parte ispirato a mio padre, che è stato sfruttato da tutti, semianalfabeta, eppure era cittadino del mondo e viveva in modo poetico. Questo è il ruolo migliore della mia carriera, sono uno spettatore della vita, un po' coglione, riscattato dall'amore, uno che contrasta la violenza di una società sempre pronta a toglierti la parola». Una dedica importante, quella del film a Guillaume, suo figlio a lungo fidanzato con Clotilde Courau (ora moglie di Emanuele Filiberto di Savoia), morto nel 2008 per una polmonite in seguito a un incidente di moto in cui aveva perso una gamba... «Lui faceva parte come noi si una sorta di movimento surrealista che invita a non essere mai delle pecore, in ogni situazione». Alla Berlinale ha presentato anche «L'autre Dumas», criticato perché il regista Safy Nebbou ha affidato a lei, biondo e rubizzo, il ruolo del meticcio Dumas.. «La trovo una polemica idiota di cui solo qualcuno vuole vedere un risvolto politico. Il colore della pelle di Alexandre Dumas non mi sembra interessante, è una questione che non mi tocca».