
Turchia, arrestato il sindaco di Istanbul Imamoglu. Caos nel Paese: possibile grana per Erdogan

L’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, che in molti già definiscono una persecuzione, ha assunto nel giro di poche ore una pesante valenza politica che rischia di avere ripercussioni sul futuro della Turchia. Se da un lato la magistratura colpisce il principale partito di opposizione e il più accreditato sfidante di Recep Tayyip Erdogan, per il presidente turco potrebbe non essere una buona notizia. Il provvedimento ha fatto il giro del mondo e con ogni probabilità accrescerà, invece di indebolirlo, il sostegno a Imamoglu in patria. Era successo proprio a Erdogan, a suo favore, e potrebbe accadere di nuovo, a suo danno. Le accuse di corruzione, oltre che di legami con i separatisti curdi del Pkk hanno colpito 106 persone e smantellato dall’interno l’apparato amministrativo della più grande città del Paese. La pesantezza delle accuse e la lunga lista di provvedimenti di fermo emanati ha fatto sorgere seri interrogativi sull’integrità del sistema giudiziario turco.

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Sulla carta il futuro del sindaco, che i cittadini di Istanbul hanno riconfermato a stragrande maggioranza appena un anno fa, è più che mai incerto. Imamoglu è atteso alla prova delle primarie del suo Partito popolare repubblicano (Chp) fra tre giorni, il 22 marzo, proprio per lanciare la sfida ad Erdogan. L’arresto di oggi non farà che consolidare il sostegno dal suo elettorato e attirargli le simpatie di una gran parte del Paese che ritiene questo procedimento politico. Dopo quello che è successo, sono in molti a scommettere che, se si votasse oggi, Imamoglu stravincerebbe. Ma non è detto che quando si arriverà alle presidenziali, nel 2028, sia ancora un uomo libero. Il partito al governo, l’Akp, oggi ha puntato il dito contro il sindaco di Istanbul insistendo sulla gravità delle accuse nei suoi confronti e sulla presenza di (presunte) prove schiaccianti. Ma le dichiarazioni avranno un peso relativo. La vera battaglia politica si combatterà in tribunale. E avrà riflessi ben oltre i confini della Turchia.

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La notizia ha fatto finire la Turchia sotto la lente di ingrandimento di mezzo mondo e ora solo un processo trasparente potrebbe fugare i dubbi sulla solidità della democrazia e sull’indipendenza della magistratura. Se le accuse si rivelassero fondate e dimostrabili, il governo metterebbe a segno un importante colpo contro la corruzione e respingerebbe le critiche. Serviranno però prove schiaccianti da esibire in pubblico per evitare critiche che allontanerebbero Ankara dall’Europa proprio quando la politica sovranista di Trump ha spinto gli altri membri Nato a serrare i ranghi. Del resto Erdogan ha provato sulla sua pelle cosa significhi, anche in termini elettorali, finire dietro le sbarre. Quando era sindaco di Istanbul, finì anche lui in carcere e dunque è consapevole di come la solidarietà possa trasformarsi in consenso politico. E il presidente non avrà dimenticato come reagì la gente quando fu decretata la ripetizione delle elezioni del 2019 per il sindaco di Istanbul. Imamoglu aveva vinto il primo turno con appena 15mila voti di scarto, un margine minimo che aprì una valanga di ricorsi che diede alla Commissione elettorale motivo per annullare il voto e ripetere la consultazione Ma non andò come Erdogan aveva sperato. Al nuovo voto, Imamoglu si impose con quasi un milione di voti di scarto. Proprio quella vicenda ha imposto Imamoglu all’attenzione della stampa internazionale. E allora è iniziata la sua carriera da anti-Erdogan. Erdogan rischia dunque che quella di oggi sia una vittoria di Pirro, devastante all’interno e imbarazzante all’estero. Stavolta non basterà parlare di sicurezza e integrità per convincere chi lo accusa di volersi solo sbarazzare dei propri oppositori. L’unica via è garantire che la giustizia turca sia e sia percepita come trasparente, una prova che potrebbe non superare. Il primo a uscire sconfitto sarebbe ovviamente Imamoglu, ma alla lunga a perdere la guerra potrebbe essere Erdogan.
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