accordo israele-hamas
Tregua a Gaza, così Trump ha convinto Netanyahu: la strategia vincente
Il diavolo è sempre nei dettagli, ma lo è ancora di più quando in gioco è la soluzione, eventualmente anche temporanea, di una crisi che contrappone due attori che hanno per obiettivo l’uno la distruzione dell’altro. Non per niente, già più volte in passato, forte e diffusa è stata l’idea che, dopo più di un anno, fosse ormai imminente un accordo. Questa volta, a far la differenza, sono state le enormi pressioni che il presidente eletto Donald Trump ha esercitato, e continua a esercitare, sul primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, soprattutto per tramite del suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff. Trump ha più volte, e molto chiaramente, espresso l’intenzione di scatenare un inferno se gli ostaggi ancora in mano a Hamas non fossero stati liberati entro il 20 gennaio, data della sua inaugurazione come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti.
A questo punto, tutto lascia supporre che tale minaccia fosse rivolta a tutte e due i protagonisti di questa così particolare trattativa. Non per niente, almeno da quanto è dato sapere, affinché si arrivasse effettivamente alla liberazione degli ostaggi, il primo ministro israeliano ha dovuto accettare delle condizioni che fino adesso aveva rifiutato. Due elementi confermano come i rapporti tra Trump e Netanyahu siano peggiorati proprio in ragione del deciso cambiamento di rotta indicato dal nuovo presidente degli Stati Uniti. Da una parte, Trump ha condiviso sul suo social media Truth un video nel quale il professore della Columbia University Jeffrey Sachs descrive il primo ministro israeliano in modo ingiurioso e lo dipinge come ossessionato dall’intenzione di portare gli Stati Uniti in guerra con l’Iran.
Dall’altra, Netanyahu ha annunciato di aver annullato il suo viaggio a Washington per partecipare all’inaugurazione della seconda amministrazione Trump. Molto e di molto importante sta avvenendo dietro le quinte, tanto che una primagrandeaffermazione in politica estera della nuova amministrazione Trump si è resa possibile, mentre gli uomini dell’amministrazione Biden, che pure molto del loro tempo e prestigio hanno speso in una mediazione infruttuosa, come il segretario di Stato Anthony Blinken e il consigliere per la sicurezza nazionale Jack Sullivan, per non dire del presidente stesso Joe Biden, sono di fatto già irrilevanti.