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Siria, così Turchia e Israele "dettano legge" in Medio Oriente

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Roberto Arditti
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Per capire qualcosa di quanto sta accadendo in Siria, dobbiamo innanzitutto tenere d’occhio atti concreti e dichiarazioni politiche dei due soggetti che escono decisamente rafforzati dalla rovinosa caduta del criminale regime degli Assad: Turchia e Israele. Turchia, perché è del tutto evidente il sostegno operativo dato alle milizie che hanno preso Damasco in meno di un mese, Israele perché senza l’offensiva contro la filiera Hamas-Hezbollah-Iran nulla di quello che abbiamo visto nell’ultima settimana sarebbe accaduto. Ecco allora il primo elemento rilevante delle ultime ore, cioè la critica turca ad Israele che il presidente Erdogan esprime nel colloquio con Giorgia Meloni.

Una critica che investe le attività militari sulle alture del Golan, dove Idf sta creando una zona cuscinetto di una ventina di chilometri oltre il confine tra Israele e Siria. Erdogan parla di «aggressione», facendo così capire al mondo intero che intende svolgere sino in fondo il ruolo di «protettore» della nuova Siria. Il secondo elemento di non minore importanza sono le intense attività militari israeliane che in queste ore stanno colpendo duramente tanto quel che resta della marina militare siriana quanto i principali depositi di armi dell’esercito regolare (che in questo momento è totalmente disorientato, privo di comandanti nel pieno delle funzioni e ancora del tutto scollegato dai nuovi governanti).

 

Attenzione però, in Medio Oriente le cose non stanno mai come suggerisce l’apparenza. Quindi bisogna leggere in controluce parole e fatti: Erdogan critica Israele, ma per il momento si ferma alle parole. Potrebbe spingere le milizie ad avvicinarsi ai reparti israeliani, ma non lo fa. Potrebbe utilizzare corpi scelti delle poderose divisioni turche, ma evita accuratamente ogni confronto militare diretto. Insomma, Erdogan sta dicendo a Israele qualcosa di molto simile ad un semplice messaggio: «non esagerate».

 

Dall’altra parte Israele sa che non può perdere l’occasione del vuoto di potere creato in quella Siria che da decenni minaccia in ogni modo la sua sicurezza nazionale. D’altronde, l’elemento decisivo con cui Netanyahu ha riguadagnato credibilità a livello internazionale è stata proprio la capacità di usare la forza, in una zona del mondo dove ogni altro linguaggio ha credibilità pari a zero. La sintesi è quindi la seguente: Turchia e Israele mai saranno d’accordo al 100% (nessuno dei due ha interesse a questo), però possono convergere di fatto nel lavorare per un equilibrio (precario) in grado di ridimensionare la strategia criminale dell’Iran. È quello che chiedono loro americani e sauditi: c’è da risolvere un tema Russia che è grande come una casa, non create (troppi) problemi.

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