Siria, la caduta di Assad. Ora manca l'Iran: decisive le mosse di Israele e Usa
Il Medio Oriente ribolle. Dopo Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza, ora cade anche la Siria, da dove la Russia si ritira precipitosamente. E l’Iran trema. Questo effetto domino potrebbe arrivare a Teheran e destabilizzare anche il regime degli Ayatollah che, soprattutto nelle ultime settimane, ha visto soccombere alleati e proxy? Cosa accadrà ancora in quell’area è complicato da prevedere. Mosca, intanto, ha abbandonato la Siria al suo destino, pur concedendo asilo politico a Bashar al-Assad. Un segnale preoccupante per Teheran che non ha più l’alleato "fidato" nel Paese che avrebbe voluto controllare per continuare a estendere il suo dominio nell’area. La Turchia, attore ambiguo e inaffidabile, ha aiutato l’avanzata dei ribelli, jihadisti conclamati, contro i curdi. Uno scacchiere complesso che è ancora ben lontano dalla stabilità e dove anche il ritorno di Donald Trump potrebbe aver fatto la differenza. Osservatori e analisti, in queste ore, si interrogano proprio sul destino di Teheran che, già indebolito dalle proteste interne, dovrà trovare la capacità di sopravvivere. Sicuramente, all’interno del regime "agenti provocatori" stanno agendo da tempo.
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Ma fino ad ora la parte più intransigente dei Pasdaran è riuscita a mantenere il controllo dimostrandosi ancora più interventista di Khamenei. Ma da adesso in poi tutto potrebbe essere messo in discussione. Soprattutto alla luce delle mosse di Israele che è tornato a posizionarsi oltre la zona cuscinetto delle alture del Golan. U segnale, questo, che non dimostra so lo la volontà di fermare eventuali attraversamenti del confine, ma anche una funzione deterrente proprio nei confronti di Teheran. Di certo la Siria non vivrà tempi facili poiché, al netto della caduta del presidente Assad, le forze ribelli che hanno marciato prima su Aleppo e poi su Damasco non sono altro che terroristi, la fazione di Hay'at Tahrir al-Sham, già appartenenti ad al Qaeda che hanno cambiato l’abito per l’occasione, ma la sostanza dell’ideologia rimane. Lo sconvolgimento del Medio Oriente, dunque, potrebbe essere solo all’inizio con l’obiettivo finale di mettere ai margini, se non destabilizzare del tutto, il regime iraniano, cosa gradita sia agli Stati Uniti e al neo presidente, quanto a Israele.
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E tra gli alti livelli della diplomazia internazionale si rincorrono voci proprio sugli scenari che si apriranno una volta che Donald Trump si sarà ufficialmente insediato alla Casa Bianca. Dopo la sua elezione, il 5 novembre scorso, sia la guerra in Libano che quella a Gaza hanno subito un’accelerazione. Hezbollah, ormai ridotto ai minimi termini dopo l’eliminazione di Nasrallah e altri elementi di spicco del suo Stato Maggiore, ha accettato il cessate il fuoco. Hamas ha manifestato più volte la stessa intenzione, mentre gli Houti nello Yemen sono stati pesantemente bombardati da inglesi e americani. Nel frattempo, Israele ha provveduto a interrompere le vie di rifornimento che dall’Iran portavano armi in Libano e nella Striscia di Gaza. I leader di Hamas sono stati eliminati dall’esercito israeliano, che è riuscito anche a farlo direttamente a Teheran, praticamente sotto il naso degli ayatollah. Anche il Qatar, che nella guerra a Gaza ha partecipato ai tavoli per un cessate il fuoco, ha chiesto ai rimanenti leader del gruppo terroristico palestinese di chiudere l’ufficio politico a Doha e lasciare il Paese.
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Nonostante i qatarini continuino ad essere uno dei maggiori sponsor del terrorismo, forse il ritorno di Donald Trump e la politica degli Accordi di Abramo per stabilizzare il Medio Oriente, potrebbe giocare un ruolo preponderante. E sullo sfondo della caduta di Assad, resta l’impotenza di Teheran che ormai si troverebbe anche a corto di armamenti, visto il dispendioso impegno verso Hezbollah e Hamas. Quest’ultima alleanza più che innaturale, considerato che il gruppo terroristico sunnita è finito nell’abbraccio mortale degli sciiti di Khamenei. Una scelta che proprio il mondo arabo sunnita ha mal digerito. L’occasione, dunque, potrebbe essere ghiotta per mettere definitivamente all’angolo il regime iraniano. Magari aiutando sottobanco Stati Uniti e Israele.