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Francia, la crisi è di sistema ma il vero ostacolo è Macron

Roberto Arditti
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Perché in Francia i governi non hanno bisogno della fiducia del Parlamento? La risposta è semplice: perché così De Gaulle ha costruito la Quinta Repubblica tra il 1958 e il 1962, quando con due referendum i francesi hanno battezzato ufficialmente la centralità assoluta del Presidente della Repubblica. Una centralità che si può riassumere in pochi (ma decisivi) poteri: la scelta unilaterale del governo e del Primo Ministro, la facoltà in molti casi di approvare leggi anche senza il sostegno del Parlamento, la possibilità di sciogliere l’Assemblea Nazionale e chiamare nuove elezioni.

 

Ma proprio perché il sistema istituzionale francese ruota intorno all’inquilino dell’Eliseo, è di Macron la responsabilità di quanto sta accadendo: non a caso da De Gaulle in poi è sempre stato così. Macron è andato in televisione l’altra sera, accusando destra e sinistra di comportamenti irresponsabili e contrari all’interesse nazionale.
Ha raccolto il 76% di share con quasi 18 milioni di spettatori, un risultato egregio in termini televisivi. Contemporaneamente, però, il quotidiano Le Figaro ha reso noto un sondaggio nel quale il 59% dei francesi chiede al Presidente di dimettersi. Macron ha risposto che resterà al suo posto sino alla fine del mandato, cioè il 2027.

 

Può farlo, perché la Costituzione lo consente. Gli basta nominare un governo, come ha già fatto a settembre. Però, poi, entra in campo l’unica regola che può metterlo in crisi, esattamente quella applicata nel voto dell’Assemblea Nazionale di giovedì: se il governo vede approvata una mozione di sfiducia è obbligato a dimettersi. Qui entra in gioco il punto più fragile, direi definitivamente fragile, della strategia di Macron. La sua idea di un’area moderata, centrista, liberale in grado di governare contro la sinistra e contro la destra si è schiantata sugli scogli dei numeri in Parlamento, dove il centro è solo un terzo degli eletti.

Ecco allora il buco nero della strategia del Presidente, cioè l’incapacità di manovrare tanto verso sinistra, quanto verso destra. In particolare, Macron appare incapace di dialogo con la destra francese, cioè la novità più grande da 15 anni a questa parte. E allora occorre arrivare al punto centrale della questione.

Non sarà certo una qualche frattura a sinistra (forse i socialisti potrebbero sostenere un nuovo governo) a salvare questa stagione politica. La Francia è ad una crisi di sistema di enormi proporzioni, che richiede uno schema di gioco nuovo ed anche un nuovo volto di garante degli equilibri futuri. Piaccia o no, il pur brillante ed intelligente Macron è diventato un problema per il suo Paese. Resterà al suo posto, ma quello che vedremo per due anni e più non sarà un bello spettacolo.

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