Trump lancia l'offensiva commerciale contro Cina, Canada e Messico
A poche settimane dalla sua rielezione e a un mese e mezzo dal suo insediamento alla Casa Bianca, Trump lancia l’offensiva commerciale contro la Cina, il Canada e il Messico, con l’obiettivo di aumentare i dazi. «Il 20 gennaio, in uno dei miei primi ordini esecutivi, firmerò tutti i documenti necessari per imporre tariffe del 25% su tutti i prodotti che entrano negli Stati Uniti da Messico e Canada», scrive il presidente eletto in un post sul social network Truth. «Questa tassa rimarrà in vigore fino a quando le droghe, in particolare il fentanyl, e tutti gli immigrati clandestini non fermeranno questa invasione del nostro Paese», aggiunge. In un altro post, il tyccon annuncia un aumento del 10% delle tasse doganali, oltre a quelle gia in vigore e a quelle aggiuntive che potrebbe decidere, su «tutti i numerosi prodotti che arrivano negli Stati Uniti dalla Cina».
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Trump sottolinea di aver spesso sollevato il problema dell’afflusso di droga, in particolare del fentanyl - uno dei principali responsabili della crisi degli oppiacei negli Stati Uniti - con i leader cinesi, che avevano promesso di punire severamente i «trafficanti», «fino alla pena di morte». «Ma non hanno mai dato seguito alla promessa», accusa il presidente eletto. Le ragioni di sicurezza nazionale possono essere invocate per derogare alle regole stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), ma i Paesi sono generalmente cauti nell’utilizzare questa eccezione come strumento regolare di politica commerciale. L’aumento dei dazi doganali, che durante la campagna elettorale ha spesso descritto come la sua «espressione preferita», è una delle chiavi della futura politica economica di Trump, che non teme di rilanciare le guerre commerciali, in particolare con la Cina, iniziate durante il suo primo mandato. All’epoca, aveva giustificato questa politica con il deficit commerciale tra i due Paesi e con quelle che considerava pratiche commerciali sleali, accusando Pechino di «rubare» la proprietà intellettuale. E la Cina si è vendicata con tariffe che hanno avuto conseguenze dannose soprattutto per gli agricoltori americani.
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L’amministrazione di Joe Biden ha mantenuto alcuni dazi sui prodotti cinesi e ne ha imposti di nuovi su altre. E poco dopo le dichiarazioni di Trump, è arrivata la replica di Pechino. «Nessuno vincerà una guerra commerciale», sottolinea il portavoce della diplomazia cinese Liu Pengyu. «La Cina ritiene che il commercio e la cooperazione economica tra Cina e Stati Uniti siano per natura reciprocamente vantaggiosi». Non è mancata nemmeno la reazione del Canada. Il governo di Justin Trudeau assicura che le relazioni tra i due Paesi sono «equilibrate e reciprocamente vantaggiose, soprattutto per i lavoratori americani», anche se non manca un velato avvertimento: il Canada, ricorda a Trump l’esecutivo, e «essenziale per l’approvvigionamento energetico» degli Stati Uniti. Qui, dove il 75% delle esportazioni è destinato proprio agli Usa, le parole di Trump agitano gli animi. Il premier del Quebec, Francois Legault, definisce l’annuncio «un rischio enorme» per l’economia canadese. Il suo omologo della Columbia Britannica, David Eby, ritiene che «Ottawa debba rispondere con fermezza». Il Messico, invece, «non ha motivo di preoccuparsi», assicura (e rassicura) la presidente Claudia Sheinbaum.
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I tre Paesi sono legati da trent’anni da un accordo di libero scambio, rinegoziato su pressione di Donald Trump durante il suo primo mandato. Wendy Cutler, vicepresidente dell’Asia Society Policy Institute, un think tank americano, ritiene che la capacità dei due vicini degli Usa «di ignorare le minacce del presidente eletto sia limitata», tanto sono dipendenti da lui. Ma l’analista William Reinsch sottolinea che il loro accordo sarà comunque rinegoziato nel 2026: «Questa è una classica mossa di Trump, minacciare e poi negoziare».