Cop29, accordo sul cambiamento climatico: 300 miliardi annui ai paesi poveri. “Deludente”
Trecento miliardi di dollari all’anno, per dieci anni: a Baku i Paesi sviluppati si sono impegnati a finanziare maggiormente i Paesi poveri minacciati dal cambiamento climatico, al termine di una caotica conferenza delle Nazioni Unite in Azerbaigian, che include anche i Paesi in via di sviluppo. Il rappresentante dei 45 paesi più poveri del pianeta ha denunciato un accordo «poco ambizioso». «L’importo proposto è pietosamente basso, è ridicolo», ha denunciato il delegato indiano Chandni Raina, criticando la presidenza azera della Cop29. L’impegno finanziario dei Paesi europei, degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, del Giappone e della Nuova Zelanda, sotto l’egida dell’OnU, è quello di aumentare dai 100 miliardi di oggi a «meno 300 miliardi di dollari» all’anno entro il 2035 i loro prestiti e donazioni a Paesi in via di sviluppo.
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Soldi per adattarsi alle inondazioni, alle ondate di caldo e alla siccità. Ma anche per investire in energie a basse emissioni di carbonio invece di sviluppare le proprie economie bruciando carbone e petrolio, come hanno fatto i Paesi occidentali per più di un secolo. Gli europei, i principali donatori mondiali di finanziamenti per il clima, non erano pronti ad andare oltre questo importo, in un periodo di restrizioni di bilancio e di sconvolgimenti politici. Ma credono di aver contribuito a un risultato storico: «La Cop29 passerà alla storia come l’inizio di una nuova era per la finanza climatica», ha affermato il commissario Wopke Hoekstra. Resta il fatto che l’accordo della Cop29 lascia l’amaro in bocca a molti partecipanti. I Paesi più poveri del pianeta e gli stati insulari del Pacifico, dei Caraibi e dell’Africa avevano chiesto uno sforzo finanziario almeno doppio. «Nessun Paese ha ottenuto tutto ciò che voleva e lasciamo Baku con una montagna di lavoro da fare, quindi questo non è il momento di fare giri di parole», ha detto il responsabile del clima delle Nazioni Unite, Simon Stiell. L’Azerbaigian ha combattuto contro l’Armenia per ottenere l’organizzazione della conferenza, il più grande evento internazionale organizzato dal Paese. Ma le dichiarazioni del suo presidente contro la Francia, gli arresti di attivisti ambientali e le vessazioni contro i parlamentari americani a Baku hanno appesantito l’atmosfera. Baku è stata una «esperienza dolorosa», ha detto il ministro dell’Ambiente brasiliano Marina Silva, che ospiterà la prossima Cop tra un anno. In quella che viene interpretata come una rivincita della Cop28 di Dubai dello scorso anno, nell’accordo di Baku non viene fatta esplicita menzione della transizione verso l’uscita dai combustibili fossili.
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D’altro canto, i «carburanti di transizione», il termine utilizzato dall’industria del gas per indicare il gas naturale, ottengono una menzione esplicita. E gli europei, che speravano in una posizione più ambiziosa sulla riduzione delle emissioni di gas serra, non troveranno nel testo nemmeno la creazione di un sistema di monitoraggio annuale degli sforzi di transizione dai combustibili fossili (carbone, petrolio, gas) come speravano. Così alla fine di una maratona di oltre 32 ore, gli animi sono di varia natura.