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Onu, condanna per Netanyahu e Gallant. Festeggiano ayatollah, terroristi e sinistra

Andrea Riccardi
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«Crimini contro l’umanità e crimini di guerra», sono le accuse che hanno portato la Corte penale internazionale (Cpi) a emettere il mandato d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, a sei mesi dalla richiesta inviata dal procuratore capo della Corte Karim Khan. Il Tribunale dell’Aia ha «trovato ragionevoli motivi per ritenere» che entrambi abbiano usato «la fame come metodo di guerra» limitando gli aiuti umanitari, e abbiano intenzionalmente preso di mira i civili nella guerra contro Hamas a Gaza. L’ufficio del premier israeliano ha respinto «con disgusto le azioni e le accuse» della Corte definite «assurde e false». «La decisione antisemita della Cpi è l’equivalente di un moderno processo Dreyfus», ha proseguito, accusando poi il procuratore della Corte dell’Aia di essere un «corrotto» e di star cercando di «salvarsi la pelle dalle accuse di molestie sessuali». Gallant ha affermato che la decisione «incoraggia il terrorismo omicida» e il presidente Isaac Herzog ha parlato di un «giorno buio per la giustizia». Per Hamas invece la mossa «corregge una lunga ingiustizia contro il popolo» palestinese.

 

 

La Corte ha emesso un mandato d’arresto anche nei confronti del leader del gruppo fondamentalista, Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri, comunemente noto come Deif. La procura non è stata in grado di determinare se sia morto o sia ancora vivo. Il mandato d’arresto nei confronti di Netanyahu segna la prima volta che un leader in carica di un importante alleato occidentale viene accusato di crimini di guerra e contro l’umanità da una corte di giustizia globale. Ciò ha messo gli alleati di Israele, compresi alcuni dei suoi più stretti partner europei, in una posizione scomoda. L’Olanda si è detta pronta ad applicare il mandato d’arresto. Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha affermato che l’Italia sostiene la Cpi e valuterà con gli alleati il da farsi. L’Alto rappresentante dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha sottolineato che i mandati di arresto sono una questione legale e non politica, e che sono vincolanti per tutti i 27 Paesi membri dell’Ue. «Ritengo sia una sentenza sbagliata, che ha messo sullo stesso piano il Presidente israeliano e il Ministro della Difesa israeliano con il capo degli attentatori, quello che ha organizzato e guidato l’attentato vergognoso che ha massacrato donne, uomini, bambine e rapito persone a Israele, che è quello da cui è partita la guerra. Sono due cose completamente diverse», il commento del ministro della Difesa, Guido Crosetto ieri sera a Porta a Porta. «Non penso - aggiunge Crosetto - che la Corte Penale Internazionale dovesse intervenire con questa sentenza a tre. Ciò detto, se arrivassero in Italia dovremmo arrestarli perché noi rispettiamo il diritto internazionale».

 

 

Esulta il centrosinistra, da Peppe Provenzano (Pd) a Giuseppe Conte (M5S), fino alla pubblicazione sul sito di Sinistra Italiana della foto del premier israeliano con la scritta «arrestatelo». Nonostante i mandati, è probabile che né Netanyahu né Gallant affrontino presto i giudici dell’Aia. I Paesi che riconoscono la Corte sono tenuti a detenere i sospetti che hanno un mandato di cattura se mettono piede sul loro territorio, ma il tribunale non ha modo di far rispettare l’ordine. Per esempio il presidente russo Vladimir Putin, ricercato in base a un mandato della Corte penale internazionale per presunti crimini di guerra in Ucraina, ha recentemente visitato la Mongolia, uno Stato membro della Corte ma anche alleato della Russia e non è stato arrestato. È vero però che la decisione dei giudici complica qualsiasi viaggio all’estero di Netanyahu e Gallant. I mandati di cattura sono stati emessi da una giuria di tre giudici con una decisione unanime. La giuria ha affermato che la mancanza di cibo, acqua, elettricità, carburante e forniture mediche specifiche ha creato condizioni «calcolate per portare alla distruzione di parte della popolazione civile di Gaza», compresa la morte di bambini per malnutrizione e disidratazione. Hanno inoltre rilevato che, impedendo l’accesso nella Striscia alle forniture ospedaliere e alle medicine, i medici sono stati costretti a operare, anche con amputazioni, senza anestesia o con mezzi di sedazione non sicuri che hanno portato a «grandi sofferenze». La guerra a Gaza dura da 13 mesi e il bilancio delle vittime, comunicato dalle autorità locali, ha superato le 44mila.

 

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