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Ucraina-Russia, il disastro della telefonata di Scholz con Putin

Roberto Arditti
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Il cancelliere tedesco Scholz rompe con una lunga telefonata il fronte europeo che da due anni e più evitava ogni contatto con Vladimir Putin. Risultato: le forze armate russe attaccano con centinaia di doni e missili, colpendo infrastrutture e centrali energetiche, compromettendo così il già difficile inverno ucraino. Che dire, un capolavoro di diplomazia e di efficacia politica. Come risposta all’ennesimo assalto russo, l’amministrazione Biden decide (a 50 giorni dall’insediamento di Donald Trump) di consentire ciò che ha negato insistentemente per oltre due anni, vale a dire l’utilizzo per colpire il territorio russo dei missili a medio raggio.

 

Che dire, una mossa nella migliore delle ipotesi tardiva, nella peggiore pericolosa. Tardiva perché l’obiettivo è quello di colpire in profondità gli insediamenti logistici, ma dobbiamo ammettere che siamo in gravissimo ritardo: il momento giusto sarebbe stato l’autunno del 2022, prima dell’avanzata russa in territorio ucraino. Pericolosa perché potenzialmente contributore netto di un’escalation che si è cercato di evitare per lungo tempo, ottenendo il solo risultato di consentire alle forze russe di migliorare la loro performance, dopo il disastro del 2022. Insomma, la sensazione che se ne ricava è di una complessiva inadeguatezza di fronte alle sfide oggettivamente imponenti del nostro tempo, una inadeguatezza che riguarda soprattutto le classi dirigenti dell’Occidente.

 

Nel continuo alternarsi di posizioni pacifiste a sprazzi di interventismo, nel gioco confuso dei risultati elettorali raramente improntati alla continuità, nel vivere in perenne angoscia da sondaggio, i governi della Nato giocano come bradipi in un terreno di scontro dove gli avversari si muovono come saette. Certo, gli autocrati commettono gravi errori perché quasi sempre circondati da corti plaudenti che ne offuscano la capacità di analisi e di decisione. Maèdifficile immaginare l’architettura delle democrazie occidentali capace di fronteggiare l’India o la Cina del 2050. Tornando alle decisioni di queste ore non si può però escludere una qualche forma di accordo tra Biden e Trump: in fondo il Presidente Eletto potrebbe anche giovarsi di una ritrovata capacità militare ucraina, spendendola così al tavolo della trattativa cui cercherà di dare vita.

Ad ogni buon conto deve essere chiara una ed una sola cosa. C’è un piano di pace della Turchia, forse anche uno cinese. C’è una volontà dell’India di giocare un ruolo e lo stesso si può dire delle monarchie del Golfo. Europa e Stati Uniti però non possono consentire a nessuno di essere decisivo in questa vicenda, siamo noi che dobbiamo portare russi e ucraini, Putin e Zelens’kyj, al tavolo della trattativa. Dovremo farlo con le buone, ma, assai più probabilmente, dovremo farlo con le cattive. Se cediamo su questo ruolo accettiamo una subalternità piena di rischi ed effetti negativi. Non è nemmeno il caso di pensarci: CDL, Cercasi Disperatamente Leadership. Anche per questo gli americani hanno votato per Trump.

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