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Donald Trump-Kamala Harris, il giorno del giudizio: il manuale del voto americano

Paola Tommasi
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Ci siamo. Il giorno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti l’aria è elettrica e dà la piena percezione dell’importanza del momento: tutto il mondo ha gli occhi puntati sull’America per capire dove andrà da domani. Dal miliardario al barbone sentono tutti forte il senso di appartenenza alla più grande democrazia del mondo e manifestano l’orgoglio di essere americani. Perfino le macchinine che localizzano i taxi nelle app di trasporto hanno il tetto con la bandiera Usa disegnata, nei negozi abbondano gadget di tutti i tipi di entrambi i candidati, quelli ufficiali della campagna elettorale e quelli caricaturali, e anche le bustine di zucchero al bar ritraggono le facce dei due contendenti.

Quest’anno la domanda è una e una sola: alla Casa Bianca tornerà Donald Trump o inizierà una nuova era con Kamala Harris? Qualcuno sarà sicuramente tentato dal dare all’attuale vice Presidente di Joe Biden una chance alla ricerca del cambiamento ma rischia di essere un salto nel buio. Un vecchio proverbio recita che chi lascia la strada vecchia per intraprenderne una nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova. Nel primo mandato Trump ha dato prova di saper governare: nei suoi quattro anni, prima dello scoppio del Covid, l’economia viaggiava spedita e c’era una tale domanda di lavoro che erano gli aspiranti impiegati o dirigenti a decidere il salario e non le aziende, tanto che non solo gli Usa si avvicinarono alla piena occupazione ma soprattutto gli stipendi aumentarono per tutte le categorie di lavoratori. In politica estera gli hanno riconosciuto tutti, anche ex post, in altri Paesi e di altri schieramenti politici, una indiscutibile leadership.

 

Al contrario, il curriculum di Kamala Harris pone diversi interrogativi. È in grado di gestire il dossier immigrazione? Quando Biden gliel’ha affidato lei ha fallito. Cosa farebbe in Ucraina e in Israele dove sono in corso due sanguinose guerre? Le sue idee in economia sono da Stato socialista e manderebbero in bancarotta l’America nell’arco di pochi mesi, con effetti a cascata sul resto del globo.

Le previsioni danno un testa a testa e sia Trump che la Harris ce l’hanno messa tutta per conquistare ogni singolo voto. La settimana appena passata è stata piena di iniziative pubbliche e nell’ultimo giorno di campagna elettorale, ieri, Trump ha fatto quattro comizi in tre Stati diversi e Kamala tre incontri con gli elettori, anche lei viaggiando da uno Stato all’altro. Saranno entrambi ben contenti di finire questo tour de force. Trump era partito lento a inizio anno, convinto di avere la vittoria in tasca contro Joe Biden, e più che andare in giro per l’America invitava gli elettori nella sua residenza di Mar-a-Lago in Florida. Si sono tenuti lì i più grandi eventi dell’inizio della campagna elettorale, per poi tornare nei palazzetti dello sport, negli hangar degli aeroporti e nei grandi spazi aperti dove ha subito il primo attentato, rischiando la vita.

 

Al contrario, Kamala Harris a fine luglio, quando Biden ha fatto un passo indietro, si è trovata subito catapultata in una campagna elettorale che era già a pieno ritmo, dovendo recuperare il tempo perso in precedenza. Ed è stata molto brava a riportare l’entusiasmo nel partito democratico, prima di lei afflosciato dalla senilità del Presidente uscente. Sono stati due momenti storici della corsa alla Casa Bianca 2024. Mai prima di quest’anno un candidato, per giunta Presidente in carica, aveva fatto un passo indietro a campagna elettorale iniziata, dopo il primo dibattito televisivo fra i due contendenti andato malissimo per lui. Né si era mai visto prima un attentato a un candidato, tra l’altro ex Presidente, ad un comizio a pochi mesi dal voto. Ne è seguito un altro settimane dopo. 

Comunque vada sarà storico anche il risultato, con Kamala Harris che sarebbe la prima Presidente donna e di colore e Donald Trump che sarebbe il primo Presidente, dopo Grover Cleveland nel 1892, ad essere rieletto per un secondo mandato non consecutivo. Circostanza che, in linea di principio, gli lascerebbe aperta la possibilità di ricandidarsi anche nel 2028, anche se ha già detto che non lo farà. Non sono mancati colpi bassi e volgarità, dalla «gattara senza figli» con cui il candidato vice Presidente di Trump, J. D. Vance, ha definito la Harris alla «spazzatura» con cui Joe Biden ha definito gli elettori di Trump. Quest’ultima uscita ha ricordato molto quella di Hillary Clinton del 2016 quando definì «deplorevoli» coloro che votavano per il candidato repubblicano. Mal gliene incolse.

E c’è chi sostiene che il primo a remare contro la Harris sia proprio Biden, che non ha mai accettato di essere stato buttato fuori dalla contesa elettorale dal suo stesso gruppo politico. Pure questa è una novità assoluta. E se vincesse Trump le vendette, servite fredde, sarebbero due: quella di Biden verso il partito democratico e quella di Trump che torna al potere dopo averlo dovuto lasciare nel 2020. Anche lui non l’ha mai accettato. 

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