l'intervista

Unifil, parla il portavoce Tenenti: "Alle 4.30 l'irruzione. Dopo esplosione e fumo"

Francesca Musacchio

«La situazione nell’area della missione Unifil è al momento abbastanza preoccupante. É molto difficile la quotidianità, riuscire a monitorare la situazione soprattutto negli ultimi giorni dove ci sono stati diversi attacchi da parte delle forze israeliane contro la missione e contro alcune posizioni». Andrea Tenenti, portavoce di Unifil, spiega a Il Tempo come vive la missione delle Nazioni Unite le ultime tensioni nel sud del Libano a causa del conflitto tra Israele e Hezbollah.
Oggi (ieri, ndr) si è verificato altro.

Come sono andate le cose?
«Verso le 4.30 del mattino, mentre i peacekeepers ghanesi si trovavano nei loro rifugi, due carri armati israeliani hanno distrutto il cancello e sono entrati all’interno della base. Hanno chiesto più volte che la base spegnesse le luci. Dopo circa un’ora i carri armati hanno lasciato la base, dopo che la missione ha protestato attraverso il nostro meccanismo di collegamento. Poco più tardi, verso le 7, i peacekeepers nella stessa posizione hanno sentito delle esplosioni a circa 100 metri che hanno emesso del fumo. Nonostante avessero indossato le maschere protettive, hanno sofferto gli effetti del fumo con irritazioni e problemi intestinali. E inoltre, anche ieri i soldati israeliani hanno bloccato un movimento logistico della missione vicino a Meiss Ej Jabal negando il passaggio».

 

  

È una situazione al limite.

«Una situazione molto complicata e molto complessa. Come sappiamo, giorni fa gli israeliani ci avevano chiesto di muoverci dalle nostre posizioni e noi siamo rimasti perché siamo sotto il mandato del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Quindi rimaniamo nelle nostre posizioni».

 

Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, ha chiesto all’Onu il ritiro di Unifil. Cosa ne pensa?

«Per quello che riguarda quello che ha detto il Primo ministro israeliano, l’ha chiesto direttamente al segretario generale dell’Onu e quindi la sua posizione verrà chiarita, ci sarà un comunicato da parte delle Nazioni Unite. Comunque noi, già l’altro giorno, avevamo notificato agli israeliani che saremo rimasti nelle nostre posizioni per il fatto che é importante avere la presenza della comunità internazionale in questa regione, per poter monitorare e assistere anche la popolazione e riuscire in qualche modo a mantenere questo canale di comunicazione con le parti per abbassare la tensione. La situazione sicuramente è molto preoccupante, non solo per il conflitto che sta avvenendo qui nel sud del Libano, con bombardamenti intensi anche a Beirut, ma perché questo conflitto potrebbe portare a un ampliamento regionale che avrebbe delle conseguenze sicuramente catastrofiche. Ed è quello che bisogna cercare di evitare».

Come evitare, a questo punto, l’allargamento del conflitto?
«L’importante è che i Paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, i Paesi che hanno avuto delle posizioni importanti e anche una responsabilità in questi mesi per cercare di trovare delle soluzioni, vedano questa situazione come una priorità, perché non c’è una soluzione militare di questo conflitto, che potrebbe avere solo delle conseguenze molto brevi e disastrose. Quindi, l’unica cosa che si può fare è una soluzione politica e diplomatica e tornare alla 1701 che rimane ancora una risoluzione che, se implementata con la volontà delle parti, potrebbe riportare la stabilità nel sud del Paese e in questa regione».