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Iran, parla Ruvinetti: "Khamenei? I nuovi pasdaran sono anche più pericolosi"

Francesca Musacchio
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«In Iran c’è un confronto forte tra la vecchia e la nuova generazione. I vecchi come Khamenei, paradossalmente, sono la parte più moderata, mentre le nuove generazioni di Pasdaran e Guardiani della rivoluzione, che comandano, sono interventisti. Khamenei pian piano sta perdendo anche i suoi punti di riferimento personale, vedi Raisi e Nasrallah, e oggi si trova a confrontarsi con una nuova generazione più interventista». É l’analisi di Daniele Ruvinetti, senior advisor della Fondazione Med-or, che analizza l’influenza del voto in Usa alla luce due maggiori conflitti attualmente aperti.

Khamenei ha molto nemici, interni e esterni. Se dovesse venire a mancare, cosa accadrebbe?
«L’eventuale caduta della Guida Suprema, con l’entrata in scena della nuova generazione, non deve farci stare più tranquilli, perché vogliono un confronto diretto con Israele».

Se Trump vincesse le elezioni, in Medio Oriente cosa potrebbe accadere?
«Un rafforzamento dell’appoggio esterno a Israele e a Netanyahu, che spera nell’arrivo di Trump perché si rafforzerebbe. Su questo fronte, quindi, non vedo una chiusura facile, anzi potrebbe esserci addirittura un inasprimento delle tensioni, motivo per cui non credo che fino a gennaio ci sarà alcun tipo di tregua».

Cosa pensa della tesi secondo la quale Netanyahu sta facendo il lavoro sporco per molti?
«Ha un fondo di verità. L’Iran e gli sciiti, che sono una forte minoranza del mondo arabo, sono isolati nel mondo arabo e nel mondo in generale. La presenza iraniana e la sua espansione nella regione ha dato fastidio e creato preoccupazione a Usa, Ue a tutto il mondo occidentale. Ma ha creato preoccupazione anche nel mondo sunnita, capeggiato dall’Arabia Saudita, alle monarchie del Golfo e ovviamente alla Turchia, tutti sunniti. L’alleanza di Hamas con l’Iran è anomala e asimmetrica, mentre Hezbollah è di fatto una costola iraniana e Nasrallah era un figlioccio di Khamenei. Quindi è chiaro che il mondo arabo va in difesa della Palestina perché è una causa loro, intrecciandosi con il tema religioso. Ma è altrettanto ovvio che le monarchie del Golfo appoggiano in qualche modo Israele e gli fanno fare cose che non avrebbero mai permesso di fare ad altri. Quando Hamas ha fatto un accordo forte con l’Iran ha infastidito il Qatar e la Turchia. E proprio su questa divaricazione all’interno del mondo arabo hanno perso quell’appoggio quasi incondizionato. Nessuno dunque si straccerà le vesti se Israele farà un attacco diretto in Iran, come credo farà».

In Ucraina invece?
«Trump imporrà a Zelensky di arrivare ad un accordo con Putin».

Zelensky quindi sarà costretto alla resa?
«In Ucraina stiamo assistendo ad una lenta ma progressiva avanzata dei russi nel Donbass. Zelensky ha provato, con l’incursione nel Kursk russo, a distrarre e alleggerire la pressione che le forze ucraine hanno in Donbass. Ma il Cremlino non ha alleggerito la pressione sul Donbass, che credo sia l’obiettivo principe di Putin che ritiene la regione del Kursk non strategica, dove tra l’altro più di tanto gli ucraini non possono avanzare.Trump potrebbe dire a Putin di prendere il Donbass e non andare oltre, quello che secondo me Putin vuole, il quale potrebbe a sua volta chiedere che venga ritardato l’accesso dell’Ucraina nella Nato».

Una situazione del genere è un precedente pericoloso che spingerebbe altre realtà con mire espansionistiche, ad esempio la Cina, a tentare la stessa strada su altri territori?
«Non c’è dubbio. Purtroppo non si sono altri sbocchi. Se gli Usa tagliano i rifornimenti l’Ucraina è finita. Anche perché Putin non accetterà mai di ritirarsi e basta. Il male minore è arrivare ad un compromesso. È chiaro che per l’Ucraina è una perdita, però o si rimane così oppure l’unico accordo che vedo possibile è quello.
Anche perché a Zelensky si può imporre un accordo, ma non a Putin».

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