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Israele, dai siti nucleari al petrolio: la strategia per colpire l'Iran

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Per Israele tutte le opzioni sono sul tavolo. All’attacco del primo ottobre, seguirà una dura rappresaglia contro l'Iran. Il premier Benjamin Netanyahu ha tuonato: "L’Iran ha commesso un grosso errore e pagherà per questo". Il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, ha assicurato: "Agiremo nel momento e nel luogo che sceglieremo". Il punto è su quali obiettivi si concentrerà la risposta di Israele che, secondo Michael Milshtein, direttore del Forum per gli studi palestinesi presso il Centro Moshe Dayan di Tel Aviv, sarà "plateale" e potrebbe "colpire porti, siti petroliferi o militari" o addirittura "il quartier generale dei Pasdaran". Secondo altri osservatori, la rappresaglia israeliana potrebbe invece concentrarsi sui siti nucleari della Repubblica islamica, uno scenario che non trova il sostegno degli Stati Uniti, come ha chiarito il presidente Joe Biden, confermando che ci sono discussioni in corso con gli israeliani sulla risposta all’attacco iraniano, che "deve essere proporzionata".

 

 

 

Un attacco per "distruggere il programma nucleare iraniano" è l’potesi preferita di chi in Israele, dopo i fatti del 7 ottobre, chiede di regolare una volta per tutte i conti con gli ayatollah. Tra questi l’ex primo ministro, Naftali Bennett. A favore di Israele, sostengono gli osservatori, giocano in questo momento due fattori. Da una parte la situazione negli Stati Uniti, dove il voto di novembre, giocoforza, assorbirà parte dell’attenzione in attesa del passaggio di consegne, con il nuovo presidente che si insedierà alla Casa Bianca solo a gennaio. Dall’altro lo sbandamento dei proxy iraniani, da Hamas a Hezbollah fino agli Houthi, che rendono la deterrenza di Teheran meno temibile. "Abbiamo la giustificazione. Abbiamo i mezzi. Ora che Hezbollah e Hamas sono paralizzati, l’Iran è esposto", ha fatto presente Bennett. 

 

 

 

Sono essenzialmente due gli obiettivi che Israele potrebbe prendere di mira nel caso la valutazione di Tel Aviv portasse ad autorizzare raid contro il programma nucleare di Teheran. L’impianto per l’arricchimento dell’uranio a Natanz ed il centro di ricerca nucleare di Isfahan, già nel mirino della rappresaglia israeliana - su scala ridotta - di aprile. Ma si tratta di operazioni complicate, che richiedono ordigni ancora più potenti di quelli usati per uccidere a Beirut il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. La maggior parte degli impianti nucleari dell’Iran, infatti, è posizionata in profondità nel sottosuolo, sotto le montagne. "Non è qualcosa che sarà facilmente accessibile per Israele dai cieli", ha detto ad Al Jazeera Andreas Krieg del King’s College London. Colpire i siti nucleari in risposta a un attacco che ha causato danni minimi potrebbe essere considerato sproporzionato.

 

 

Colpire il redditizio settore petrolifero iraniano, magari bombardando raffinerie, in un momento in cui le autorità iraniane sono alle prese con una crescente pressione popolare per la drammatica situazione economica del Paese potrebbe giocare a favore di Israele anche da un punto di vista politico, ma in ogni caso scatenerebbe un impennata del greggio sui mercati mondiali, con tutte le conseguenze del caso. In ogni caso la risposta andrà ben calcolata se a Tel Aviv vorranno ancora mantenere il livello di scontro con Teheran sotto quello di un conflitto catastrofico. Indipendentemente dall’obiettivo, un nuovo raid è destinato a "costringere Teheran a reagire, innescando un ping pong di missili balistici che potrebbe spingere l’intera regione nell’abisso", ritiene Ali Vaez, direttore dell’Iran Project presso International Crisis Group (Icg).  

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