Israele, Hezbollah e l'Iran, il generale Tricarico: più delle bombe preoccupa il risveglio del terrorismo
«L’incontro» Israele-Hezbollah è alla prima ripresa, non solo in un’ovvia sequenza temporale, quanto invece per il significato stesso di prima ripresa di un combattimento: quello della ricerca di un contatto con l’avversario, di saggio delle sue capacità di difesa, dei punti di debolezza, di acquisizione di un’idea della sua forza complessiva. Tutto ciò è ancora più vero per Israele, costretta ad abbandonare la posizione di privilegio da cui governava le operazioni senza apparenti problemi, protetta da uno scudo aereo impenetrabile e capace di raggiungere, senza rischio alcuno, ogni tipo obiettivo a prescindere dalla sua tipologia o distanza geografica. Ha dovuto insomma -come si dice- mettere gli scarponi sul terreno, e su un terreno in cui non potrà più fare il bello ed il cattivo tempo, ma dovrà ingaggiare un certo numero di corpo a corpo con un avversario questa volta particolarmente attrezzato ed addestrato per questo tipo di confronto.
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L’ala militare di Hezbollah è certamente il più capace strumento militare allestito dall’Iran in sua affiliazione, mala sua fisionomia è anomala rispetto ad un esercito tradizionale, inesistente o quasi nella dimensione marittima, limitato a sistemi missilistici modesti ed a qualche drone nella dimensione aerea, particolarmente forte ed addestrato però nella componente terrestre della guerriglia urbana, degli attentati, della guerra non tradizionale. Vero è che Israele si è premunita per far scendere in campo il suo avversario con ogni possibile handicap, il più azzoppato possibile: ne ha ridotto gli organici seppure in misura relativa, ne ha compromesso le capacità di comunicazione e quelle di comando, ne ha neutralizzato gran parte dell’armamento, ne ha attaccato il morale eliminando uno ad uno i capi carismatici; ed ora ambedue nell’arena. Scorrerà dunque anche sangue israeliano, Netanyahu e IDF, le forze armate, lo sanno, ed è anche per questo che l’intera operazione sarà limitata alla bonifica delle aree di confine con il Libano, ad una profondità rapportata al raggio di azione dei razzie dei missili di Hezbollah, contenuti a qualche decina di km nella peggiore delle ipotesi.
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D’altronde Netanyahu ha più volte dichiarato che l’obiettivo è quello di riportare a casa i 60/70 mila concittadini costretti a fuggire dalle proprie abitazioni e che da un anno attendono la messa in sicurezza dell’area.
Il tutto quindi verosimilmente si concluderà, in Libano, in tempi contenuti; ciò che non finirà sarà la guerra per procura con l’Iran. I cui artigli sono in fase di progressiva neutralizzazione, poche rimarranno a breve le armi in mano al regime e ancora più modeste saranno le capacità militari residue. Nè è pensabile che l’Iran cambi in corsa la strategia. Non ne avrebbe la forza, con un gigante militare come Israele, e dovrebbe al contempo misurarsi con problemi interni facilmente ipotizzabili e probabilmente ingovernabili. Oltre ad una eventuale ripetizione di una salva di missili, come quella di ieri non si potrà spingere, ed Israele ha dato prova di saper gestire uno scenario simile senza soverchi danni.
Ecco quindi che si potrebbe profilare all’orizzonte il richiamo della foresta, il ricorso al terrorismo, all’arma più insidiosa per tutti e di più difficoltosa neutralizzazione. Non sembra aver avuto alcun effetto la recente chiamata alle armi della Guida Suprema, l’appello alla lotta armata del mondo musulmano contro Israele. E tuttavia l’ala sciita del variegato mondo del terrorismo potrebbe scendere in campo con nuove strategie o forme di lotta ibride anche fuori dalle aree geografiche in cui tradizionalmente i terroristi riconducibili all’Iran si sono finora misurati. In passato le apparizioni sulla scena del terrore fuori dei confini mediorientali sono state limitate, nulla al confronto dei loro “fratelli” sunniti, e tuttavia i gruppi facenti capo allo sciismo hanno messo a punto capacità notevoli in altre forma di criminalità, non difficilmente riconvertibili in vero e proprio terrorismo o attività affini. Ecco perché, al di là delle sorti delle operazioni militari in Libano o nell’area mediorientale, occorrerà che chiunque ritenga di venire associato in qualche maniera a questa guerra, dispieghi le antenne al massimo ascolto rispetto ad un possibile riacutizzarsi del fenomeno terroristico.