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Harris-Trump, il dibattito televisivo non porta al colpo del ko. La frase sull'aborto scatena il caos

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Due visioni diverse, ma anche due toni, due stili, due modi di occupare il palco diversi. Il primo e forse unico duello televisivo tra Kamala Harris e Donald Trump ha messo a confronto due mondi opposti, in un’ora e mezzo di scontro, che però non è mai degradato, nonostante un paio di momenti in cui il tycoon ha perso il controllo. Harris ha deciso di attaccare fin dall’inizio, quando nella prima mezz’ora statisticamente si forma l’opinione dei telespettatori: prima ha scelto di attraversare il palco e di andare incontro al suo avversario, per stringergli la mano. Trump è rimasto per un momento sorpreso. Poi è cominciata la schermaglia. «Questo governo è stato un disastro», ha attaccato il tycoon. Harris ha puntato a ridicolizzare il suo avversario, accusandolo di «aver svenduto l’America in cambio di lusinghe» al presidente russo Vladimir Putin. «I leader del mondo ridono di te, ti considerano un disastro», ha aggiunto con una punta di veleno la vicepresidente. Trump ha risposto citando il premier ungherese Viktor Orban come suo estimatore, segnando un punto basso, considerato che citava un leader minore e controverso in Europa. Attaccato su Project 2025, l’agenda di destra per la transizione autoritaria, Trump ha preso le distanze («non ho niente a che fare con questo»), e lo stesso ha fatto con l’insurrezione del 6 gennaio 2021, quando alla domanda di uno dei due moderatori, David Muir, Trump ha prima definito l’insurrezione «pacifica e patriottica», poi spiegato di «non aver avuto niente a che fare» anche lì. 

 

 

Il tema dell’aborto è stato un altro di quelli che hanno alzato la tensione. L’ex presidente ha rilanciato l’accusa ai Democratici di aver autorizzato in Virginia di «uccidere il bambino dopo la nascita, come un’esecuzione», provocando la reazione di uno dei due moderatori, la giornalista Linsey Davis, che ha ricordato come non sia permesso in nessuno Stato d’America. Quello è stato il momento in cui il magnate è uscito probabilmente dai binari su cui il suo staff pensava di mantenerlo. Il tema dell’immigrazione clandestina è stato un altro di quelli. Trump ha rilanciato la storia che in Ohio gli immigrati clandestini rubano cani e gatti per mangiarseli, e a Muir è toccato precisare che queste accuse sono state definite non provate. Scivoloni che possono aver fatto felici i Democratici, ma che potrebbero non aver cambiato molto lo scenario. Trump è sembrato più interessato a parlare ai suoi elettori e a ripetere davanti a milioni di americani le accuse che lancia a ogni comizio. I suoi concetti sono apparsi più semplici e più diretti, anche se come al solito ha evitato di citare numeri e entrare nei dettagli dei suoi progetti. 

 

 

Di contro Harris ha citato spesso numeri. Sulle crisi internazionali Trump è stato più duro: «Lei - ha detto, rivolgendosi alla sua avversaria - odia Israele, se diventa presidente nel giro di due anni Israele sparirà». Poi ha messo a segno un punto, quando ha promesso che da presidente «telefonerò a uno e all’altro», cioè al presidente russo Putin e a quello ucraino Volodymyr Zelensky per trovare un accordo. «L’interesse dell’America - ha detto - è mettere fine alla guerra». Il tycoon ha parlato di milioni di bambini morti, e non è chiaro se si riferisse all’Ucraina. Forse, correggendosi, ha poi detto: «I numeri dell’Ucraina sono molto più grossi di quelli che circolano». I messaggi finali sono stati sul solco dei comizi: Harris ha ricordato il suo impegno per la classe media, Trump le ha contestato di non aver fatto niente per tre anni e mezzo. Per la prima volta la campagna elettorale ha finito per oscurare un evento che, negli anni, ha sempre rappresentato un momento di unione: l’11 settembre, i ventitrè anni dall’attacco terroristico agli Stati Uniti. È mancato un riferimento nel messaggio conclusivo da parte di entrambi. Quando è finito il dibattito, ognuno è andato via, voltando le spalle all’altro. Stavolta, niente stretta di mano.

 

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