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Libia, fine della corsa per “Bija”. Era il numero uno dei trafficanti di esseri umani

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Il comandante dell’Accademia navale libica, Abdul Rahman Milad soprannominato «Al-Bija» e conosciuto soprattutto per essere a capo di una delle più violente reti di traffico di esseri umani, è stato assassinato da uomini armati che hanno crivellato di colpi la sua auto appena fuori dell’istituto a Janzour, nella parte occidentale di Tripoli. La notizia, diffusa su X dalla testata Libya Observer, non ha ancora conferma ufficiale, ma Bidja e suo cugino Osama al-Khuni, direttore del centro di detenzione ufficiale di Zawiyah e coinvolto nella gestione di altri campi di prigionia per migranti, sono in Italia al centro di un’inchiesta per traffico internazionale di esseri umani, torture e altri crimini. L’indagine, condotta dalla procura di Agrigento, secondo un’inchiesta del quotidiano Avvenire ha raccolto centinaia di testimonianze e riscontri che conducono direttamente ai due esponenti del clan al-Nasr, la milizia che attraverso la famiglia Kachlaf controlla oltre al traffico di persone anche lo smercio illegale di armi e droga. 

 

 

Nel corso delle indagini sono stati appurati legami tra Bidja e tre torturatori arrestati in Sicilia e condannati a 20 anni di carcere ciascuno con rito abbreviato. Tra le decine di deposizioni raccolte dalla polizia di Agrigento, una risale proprio al 2019. Gli agenti a Lampedusa avevano interrogato separatamente alcuni migranti transitati da Zawiyah, sulla costa nel tratto fra Tripoli e il confine tunisino, e salvati nel luglio 2019 dalla barca a vela «Alex», della piattaforma italiana «Mediterranea». Tutti i superstiti riferivano un dettaglio: a decidere chi imbarcare sui gommoni era «un uomo libico al quale mancavano due falangi della mano destra». Secondo un altro migrante l’uomo era soprannominato «Bengi», e «si occupava di trasferire i migranti sulla spiaggia; era lui, che alla fine, decideva chi doveva imbarcarsi; egli era uno violento ed era armato; tutti avevamo timore di lui». 

 

 

Su Bija e al-Khuni pendono gli alert dell’Interpol e le sanzioni del Consiglio di sicurezza Onu. Come poi ha verificato il «Panel of experts» delle Nazioni Unite, nonostante Bija e compagni già dal 2018 siano stati inseriti nell’elenco delle sanzioni da Onu, Unione Europea, Usa e Regno Unito, e su di loro sia sempre attivo una nota di allerta dell’Interpol, hanno ulteriormente ampliato la rete includendo entità armate che operano nelle aree di Warshafanah, Sabratah e Zuwarah. Il clan si è inserito nel contesto istituzionale, tanto che «la rete allargata di Zawiyah comprende ora elementi della 55 Brigata, il comando dell’Apparato di sostegno alla stabilità a Zawiyah, in particolare le sue unità marittime, e singoli membri della Guardia costiera libica. Una filiera, scrive Avvenire, in costante espansione allo scopo di «ottenere ingenti risorse finanziarie e di altro tipo - si legge ancora nel fascicolo Onu - dal traffico di esseri umani e dalle attività di contrabbando». Il perno del sistema d’affari sono le prigioni per i profughi: «La rete di Zawiyah continua a essere centralizzata nella struttura di detenzione per migranti di Al-Nasr a Zawiyah, gestita da Osama Al-Kuni Ibrahim».

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