l'analisi
Israele, la lezione politica di Bibi all'Occidente: attacco preventivo per non soccombere
Se aspetti il colpo del nemico per reagire i casi sono due: o hai già perso o, nel migliore dei casi, subirai danni gravi. Questa elementare ma efficace logica di guerra spiega tutto o quasi l’accaduto delle ultime ore, cioè la volontà esplicita di Israele di colpire chi certamente, irriducibilmente, spietatamente, ha in corso attività ostili. La lezione del 7 ottobre inizia così a dare i suoi frutti e il governo israeliano sta scegliendo sempre più spesso di mantenere l’iniziativa anziché reagire agli attacchi. Questo è il senso più vero delle ultime ventiquattr’ore ed è anche il messaggio più profondo che i vertici militari e politici di Gerusalemme mandano all’Europa e, più in generale, agli alleati occidentali e non. D’altronde per avere chiaro qual è la posta in gioco basta ascoltare con attenzione il discorso pronunciato a fine giornata dal leader di Hezbollah, che contiene un elemento decisivo, anzi due (per essere precisi).
Dice innanzitutto, Hassan Nasrallah, che il vero obiettivo dei razzi era la più importante base dell'intelligence militare vicino a Tel Aviv, a circa 100 chilometri dal confine tra Israele e Libano. L'«obiettivo principale dell'operazione» era «la base di Glilot - la principale base di intelligence militare israeliana», queste le parole precise del fedele alleato dell’Iran nonché ispiratore del movimento che punta alla distruzione di Israele. Che aggiunge poi un secondo elemento decisivo, quando ricorda che «sono stati lanciati più di 300 razzi Katyusha, con l'obiettivo principale di tenere occupato il sistema Iron Dome, consentendo così il passaggio dei droni che sono riusciti a entrare nello spazio aereo di Israele», confermando anche che per la prima volta il movimento ha sparato i propri dispostivi dalla Valle della Beqa, zona nel Nord-Est del Paese dei cedri.
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Allora il quadro diventa molto chiaro e si compone di tre elementi. Il primo: l’offensiva militare dal Libano verso Israele sta cercando il salto di livello, mostrando al mondo una capacità operativa (e distruttiva) molto più ampia di quella tradizionalmente esistente, ponendosi obiettivi strategici di primaria grandezza come i centri vitali dell’intelligence israeliana. Il secondo: il principale nemico della pace in Medioriente, cioè l’Iran, lavora contro la tregua a Gaza, scegliendo di alzare la tensione proprio nelle ore in cui si svolgono delicatissimi colloqui con la mediazione egiziana, americana e delle principali monarchie del Golfo. Infine c’è il terzo aspetto che riguarda direttamente Israele e la strategia del governo a guida Netanyahu. Ebbene qui bisogna essere molto chiari: la scelta del vertice politico-militare è ormai tracciata e prevede l’applicazione di una dottrina di nuovo conio, secondo la quale non serve più riscontrare sul campo le attività ostili del nemico ma è sufficiente rilevare massicce attività preparatorie per reagire. In qualche modo Israele sta mettendo le democrazie di fronte ad uno scenario politicamente tutt’altro che semplice da gestire, poiché le classi dirigenti europee e occidentali si sono formate intorno a un principio indiscutibile, che prevede la possibilità di reagire solo se attaccati.
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Certo, alcune deroghe sono state ben evidenti in passato (dai Baltici alla Libia), ma qui siamo di fronte a un mondo nuovo, quello nel quale l’equilibrio politico-diplomatico discende dall’efficacia dimostrata e non solo sbandierata dello strumento militare. Israele ci dice, pur con tutta la drammatica attualità del caso, che il tempo delle strette di mano volge al termine, a meno che non si porti la pistola alla cintura. Sarà anche poco elegante tutto ciò, ma appare sempre più come un bagno di realismo necessario. Da Bruxelles a Washington, da Roma a Londra, Parigi, Berlino, Tokyo, Buenos Aires se ne prenda atto una volta per tutte. I preparativi russi del 2022 erano ben evidenti, ma non hanno indotto ad alcuna azione concreta di contrasto. Ne è seguita una guerra spaventosa che dura da due anni e di cui non si vede la fine. Non c’è molto da aggiungere.