Cisgiordania, l'"invasione" di cui tutti sanno ma nessuno parla. Tricarico: copione collaudato
Danneggiamento, furto, rapina, violenza fisica, omicidio. Sono questi i reati che da anni i coloni ed i soldati israeliani stanno commettendo, impuniti, ai danni del popolo palestinese in Cisgiordania. Il copione è collaudato: viene preso di mira un insediamento palestinese, ed in nome della sicurezza, vengono espropriati i terreni per consentire la costruzione di infrastrutture funzionali appunto alla messa in sicurezza dell’area. La prevedibile reazione degli oppressi viene rubricata come attentato alla Sicurezza, quindi vengono effettuate perquisizioni, arresti nei confronti dei cosiddetti terroristi, le loro proprietà vengono distrutte, le loro famiglie evacuate. In alcuni casi vengono confiscati bestiame e possedimenti terrieri in modo da poter espandere gli insediamenti propri. Il quadro giuridico con cui i coloni israeliani vengono privilegiati non è quello ordinario bensì quello militare, per cui non vengono celebrati processi, ma sono consentiti regimi di detenzione a tempo indeterminato. Sono ormai quasi 300 gli insediamenti creati con questi metodi per un totale di 700.000 coloni.
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L’obiettivo di lungo termine è quello di liberare la Cisgiordania dai Palestinesi, rendendo loro la vita impossibile, privandoli dei diritti fondamentali quali la sicurezza, la libertà di movimento, la proprietà privata, l’istruzione, la stessa parola, ricorrendo alla violenza sistematica, alla vessazione, alla sottomissione, con l’assistenza, spesso o quando ve ne sia necessità, di militari in uniforme, in genere ultra ortodossi, complici senza ritegno alcuno di tutte le nefandezze, cui assistono imperterriti, o più spesso dando una mano per portare a compimento le attività criminose. Di tutto questo si sa ma si parla poco, gli israeliani si sottraggono se possono al confronto; molti nella discussione perdono subito serenità, nei pochi benpensanti l’imbarazzo è palpabile; con noi italiani non è infrequente che il fenomeno dei coloni e degli ultra ortodossi venga paragonato alla mafia o al terrorismo, in un accostamento avventato e privo o quasi di caratteristiche comuni. La questione va evidentemente affrontata nella prospettiva di creare il pieno rispetto della legalità e dei diritti, con tutta la determinazione, la pazienza e il tempo che serve.
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Con un approdo finale, ideale ma non utopico, di una convivenza civile simile a quella di oggi in Israele, dove il 20% della popolazione è arabo e neppure i fatti del 7 ottobre sembrano aver messo seriamente in crisi gli equilibri raggiunti. D’altro canto, se la comunità internazionale continua a essere orientata verso la soluzione «due popoli in due Stati», perseguire il ripristino dei diritti e della legalità in Cisgiordania è un passo obbligato, quasi un prerequisito. Il momento per certo non è il più propizio per avventurarsi oltre un risultato da conseguire subito: porre fine alla criminalità dei coloni di matrice ultra ortodossa in Cisgiordania. E tuttavia a una soluzione di lungo termine bisogna cominciare a pensare, integrata by design a quella di Gaza e del popolo palestinese. L’Onu, con il sostegno dei player internazionali di maggior peso, deve riappropriarsi delle prerogative ridotte ai minimi termini con il conflitto di Gaza e con quello russo ucraino, ed elaborare, subito a valle di un cessate il fuoco nella striscia, una piattaforma negoziale incardinata sulla sicurezza di Israele e sui diritti del popolo palestinese. Il tutto ridando smalto al ruolo dei contingenti internazionali, necessari oggi come non mai e trascinati nell’inoperosità dalla perdita di ruolo del Palazzo di Vetro.
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Tutto sommato l’incompatibilità tra serbi e kossovari non ha nulla da invidiare a quella israelo palestinese, e li, dopo 25 anni di convivenza forzata sotto l’occhio vigile della NATO, le cose ancora tengonol, pur se sempre amo’ di tregua armata. Nel frattempo Israele deve tornare ad essere una democrazia compiuta, come una cozza sotto l’acqua corrente deve spurgare tutte le impurità accumulate in questi anni e che hanno un nome ed un cognome. In questi giorni la questione Cisgiordania è stata evocata a seguito delle scorribande criminali di una cinquantina di fanatici che ancora una volta hanno distrutto ed ucciso. Per un paese in grado di scovare chiunque, anche nel più remoto angolo del globo, non è necessario scomodare lo Shin Bet per assicurare alla giustizia soggetti probabilmente già conosciuti e perseguibili dopo processi istruttori tutt’altro che complicati. Vederli in carcere sarebbe un primo passo verso il ristabilimento del diritto. Così come non sembrano risposte adeguate le risse e le porte sbattute in Consiglio dei Ministri, come è successo in questi giorni, da parte di chi a livello di vertice di governo soffia sul fuoco, salvo riprendere poi come se nulla fosse appena le acque si siano calmate.