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Kennedy junior: l'ago della bilancia a favore di Donald negli Stati in bilico

Lucio Martino
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Kamala Harris ha chiuso i quattro giorni del Congresso nazionale democratico con un discorso ragionevolmente ben presentato nel quale oltre a elencare un’infinità di verità alternative sull’ex presidente Donald Trump ha soprattutto cercato di nascondere il suo ruolo nella presente amministrazione, il suo progressismo ultra liberale e il suo forte socialismo di governo. Sfortunatamente per lei, con l’appoggio offerto il giorno dopo a Trump, Robert F. Kennedy Jr. non solo ne ha direttamente danneggiato le ambizioni elettorali, ma è anche riuscito a cancellarla del tutto dall’intero insieme mediatico. Inoltre, la logica in base alla quale Kennedy ha illustrato la
decisione di sospendere la campagna elettorale sua e della sua candidata alla vicepresidenza Nicole Shanahan, per schierarsi al fianco di Trump, è stata particolarmente incisiva.

 

 

Kennedy ha spiegato che sta offrendo il suo sostegno al presidente Trump per difendere la libertà di parola, per far finire la guerra in Ucraina e per combattere quella che definisce come un’epidemia di malattie croniche che sta falcidiando i bambini americani. Restano delle divergenze, ma l’importanza degli obiettivi in comune è a suo avviso tale da permettergli di mettere da parte quanto comunque lo divide da Trump. A seguire, ha poi criticato il Partito Democratico per la guerra legale che sta combattendo contro se stesso e contro Trump, al fine di cancellare la volontà degli elettori e mandare in prigione l’ex presidente. Kennedy ha deciso di candidarsi come indipendente lo scorso ottobre, quando si è trovato a doversi confrontare con l’aperta ostilità dimostrata dal Partito
Democratico a fronte della sua intenzione di partecipare alle elezioni primarie di tale partito. Da allora, ha dovuto affrontare un processo costoso e dispendioso, in termini di tempo ed energie, per potersi candidare alla Casa Bianca, prima di sospendere, ma
non di terminare, la sua campagna elettorale.

 

 

Nel giudicare ormai impossibile una sua vittoria, Kennedy ha ufficialmente chiesto ai suoi sostenitori di votare per l’ex presidente Trump in tutti quei dieci stati dall’orientamento politico incerto che decideranno il risultato elettorale e all’interno dei quali anche meno di un punto percentuale può fare la differenza. A scanso di equivoci, ha quindi annunciato di aver disposto il ritiro del suo nome dalle relative schede elettorali. Tuttavia, sembra che anche in questo Kennedy dovrà superare nuovi ostacoli, come evidente dalle obiezioni legali già offerte a tal merito da parte di un Michigan a guida democratica. Il suo nome resterà invece sulle schede elettorali di tutti quegli stati il cui risultato a favore dell’uno o l’altro schieramento è più che certo, e dove la sua candidatura sarà perciò ininfluente. Secondo Kennedy, qualsiasi altra sua scelta avrebbe finito con il consegnare le elezioni ai Democratici. Finora, la candidatura Kennedy era stata giudicata in grado di danneggiare entrambi i candidati, essendo lui parte di una vera e propria dinastia democratica ed essendo il suo sostegno alle opinioni anti-establishment condiviso da alcune fazioni repubblicane.

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