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Ucraina e Medio Oriente, ai tavoli della pace ci si può sedere solo se ben "armati"

Roberto Arditti
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Le chiacchiere stanno a zero, possiamo dirlo con una certa franchezza. L’evidenza che emerge con l’autorevolezza dei fatti dalle due più recenti crisi internazionali è infatti una ed una sola, pur nella sua drammatica sostanza: l’uso della forza è necessario, conduce a risultati concreti, per molti versi risponde a un’esigenza di giustizia. Vale per l’Ucraina, dove, con buona pace di Orsini e quelli che la pensano come lui, solo la capacità di reazione militare (con la Nato finalmente in campo) consente oggi a quella nazione di esistere anziché finire preda delle anacronistiche ambizioni imperiali russe. Vale per il Medio Oriente, dove, con buona pace di Orsini e quelli che la pensano come lui, solo la reazione militare di Israele permette all’unica democrazia del continente di resistere alla spaventosa aggressione iniziata il 7 ottobre. Facciano pace con il buon senso e la conoscenza della storia quelli che criticano la violenza dei comportamenti ucraini o israeliani: se qualcuno inizia a sparare e uccidere (Putin, Hamas) la reazione non può essere un comunicato stampa. Eccoci allora al punto che ci riguarda più da vicino e che dovrà sempre più caratterizzare le scelte politiche e industriali italiane ed europee.

 

 

 

Non c’è attività diplomatica o economica con speranze di successo priva di adeguata struttura militare e di intelligence, con scopo primario di deterrenza ma in grado di essere dispiegata in qualunque momento a difesa degli interessi vitali di una comunità, di una nazione, di un’alleanza. Ed è proprio in seguito alle gravi crisi appena ricordate che segnali positivi si fanno avanti sia a livello nazionale che europeo. Facciamo però degli esempi per capirci meglio, anche perché queste materie vanno trattate più con i fatti che con le chiacchiere. Il gruppo d’attacco della portaerei Cavour della Marina Militare ha concluso il 2 agosto la partecipazione all’esercitazione multinazionale Pitch Black al largo delle coste australiane, cui hanno preso parte militari di 20 nazioni, per poi spostarsi verso le coste giapponesi in vista di nuove operazioni. È il segno di una volontà di nuovo conio delle nostre forze armate, capaci finalmente di giocare un ruolo anche in teatri lontani. Ma è anche il segno di una sostanziale evoluzione della Nato verso alleanza globale, capace di agire in piena collaborazione con paesi come il Giappone, l’Australia e la Corea del sud.

 

Al tempo stesso si rafforzano gli ordini di nuovi aerei F 35 da assemblare in Italia (Cameri, in provincia di Novara) dove si lavorerà a modelli acquistati dalla Svizzera e dall’Olanda. E siccome l’Italia è l’unico paese al mondo insieme al Giappone dove esiste uno stabilimento autorizzato a lavorare sul caccia attualmente più sofisticato in circolazione è arrivato il momento di rivendicare con orgoglio questo successo nazionale, anziché tenere sempre comunque un basso profilo. Anche perché proprio quello stabilimento si è assicurato per molti anni il ruolo di "hub" per la manutenzione di tutti gli aerei di quel tipo che operano nel teatro europeo. Abbiamo citato l’F 35, che in realtà è molto più di un aereo da combattimento. Esso è infatti un vero sistema integrato cielo-terra-mare, perché solo così funzionano gli strumenti militari di deterrenza e attacco nel tempo in cui viviamo. Tanto è vero che la missione di nave Cavour nei lontani mari del Pacifico trova nella presenza a bordo proprio di quegli aerei uno strumento di lavoro in comune con le altre Marine Militari.

 

Guardiamo poi al nuovo programma congiunto italo-tedesco per sviluppare nuove versioni del carro armato Leopard: il progetto è nato in Germania ma lo sviluppo congiunto porterà lavoro e conoscenza in Italia, perché parte significativa delle attività saranno svolte nel nostro paese. Facciamone ancora uno di esempio, ricordando l’avvio della collaborazione tra Italia, Gran Bretagna e Giappone per il caccia di sesta generazione. Anche qui uno sforzo che mette in evidenza il concetto fondamentale da mandare a memoria: non c’è futuro nelle attività di sicurezza e di difesa se posti in capo a una singola nazione, poiché solo la cooperazione tra alleati può garantire risultati concreti. Vedremo nella seconda parte di quest’anno se il conflitto voluto dalla Russia e subito dall’Ucraina troverà una composizione, così come vedremo a breve se i colloqui fittissimi di queste ore riusciranno a portare ad una tregua significativa a Gaza. Ma la lezione da non dimenticare è una ed una soltanto: al tavolo della pace ci si siede con ruolo credibile solo se gli altri attori hanno fondati motivi per temere le tue iniziative. Tutto il resto è accademia, quasi sempre inutile e noiosa.

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