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Israele, la verità dopo mesi di guerra: l'indifendibile Netahyahu ha ragione

Roberto Arditti
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Dopo mesi di critiche feroci da ogni angolo del pianeta, dopo centinaia di manifestazioni tra Europa e Nord America, dopo ripetute marce antagoniste che hanno inondato le strade d’Israele per settimane ecco affacciarsi uno scenario nuovo e antico al tempo stesso: Bibi Netanyahuè in sella, anzi governa in un momento drammatico per il suo Paese, anzi forse sta addirittura dimostrando di essere quello che ci capisce più di tutti.

Sia chiaro, soprattutto ai critici un tanto al chilo ed in servizio permanente effettivo, in Medio Oriente non ci sono santi, non ci sono eroi, non ci sono giusti che fanno sempre la mossa saggia, caritatevole, lungimirante. Da quelle parti si gioca pesante, perché è un mondo nel quale contano i soldi, spesso capaci di viaggiare fuori dalla legalità, contano le armi, che vengono usate quotidianamente e non certo al poligono, contano le religioni, che sono devastante strumento di lotta per il potere quando le si vuole usare allo scopo, contano i servizi segreti, che si parlano ogni giorno ed al tempo stesso si combattono con ogni mezzo. Israele è in mezzo tutto questo, con i confini presidiati dal nemici mortali.

È così a Nord, dove le milizie Hezbollah lanciano razzi costruiti in Iran mentre il contingente Onu si perde nelle scartoffie del Palazzo di Vetro. È così a Est, dove c’è la Siria di Assad che fa tutto quello che può per minacciare e colpire. È così a Sud, dove c’è Gaza ed il suo gestore dominante Hamas, il movimento politico-militare che ha voluto, pensato, organizzato ed attuato il massacro del 7 ottobre. Ebbene a nove mesi da quella data si può dire che proprio Bibi Netanyahu sta interpretando con un certo successo la stagione drammatica che gli tocca gestire. Lo dimostra il fronte interno, dove avversari politici ed anche alleati critici (da Ehud Barak a Yair Lapid, da Benny Gantz a Itmar Ben Gvir) hanno smesso da tempo di ragionare come se l’uscita di scena del premier debba essere considerata tanto ovvia quanto imminente.
Lo indica però anche il fronte internazionale, dove è ben evidente la presa d’atto americana (in attesa del voto di novembre) del fatto che oggi è lui l’interlocutore principale (pur tenendo nella giusta considerazione il Ministro della Difesa Yoav Gallant ed il direttore del Mossad David Barnea). E lo stesso vale per gli inglesi, i più solleciti nell’assistenza militare dal lato europeo, così come vale per tutto quel mondo islamico (Arabia Saudita in testa, ma anche Giordania, Egitto, Emirati Arabi) che intende contrastare in ogni modo Hamas ed i suoi sponsor.

E poi c’è il delicatissimo versante militare, dove Israele ha dimostrato al mondo intero la sua capacità di reazione a Gaza ma soprattutto fuori, come si è visto a Teheran con l’omicidio di Ismail Haniyeh, ultimo di una lunga lista di figure di vertice di Hamas eliminate in questi mesi.

Sia chiaro: il prezzo in vite umane pagato nella reazione israeliana è altissimo. Nessuno può dimenticarlo. Ma è anche altrettanto veroche ciò è massimamente dovuto al fatto che Hamas vuole a tutti i costi combattere in mezzo ai civili, anzi ne desidera il sacrificio (è il tema di un discorso pubblico recente proprio di Haniyeh).
Ma soprattutto è vero un altro fatto incontrovertibile: nel mondo islamico a sostenere Hamas c’è l’Iran e, a modo suo, la Turchia, mentre quasi tutti gli altri (Qatar compreso) si tengono a distanza (non con la stessa intensità).

Cioè non è successo quello che Hamas sperava: la sollevazione del mondo islamico contro Israele per bloccarne la reazione. Anzi, se vogliamo dirla tutta, proprio a Teheran si è vista l’impressionante debolezza del regime, incapace di proteggere il vertice politico del movimento palestinese.
Ecco allora la realtà, scomoda e indigesta per tante anime belle del Vecchio Continente (ne è piena anche l’Italia): l’indifendibile Bibi è insella. E scusate se è poco, mentre si attende una rappresaglia iraniana che prima o poi arriverà. 

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