Iran, passo indietro sull'attacco? "Asset militari Usa nella regione", che succede
Resta alto il rischio di una devastante guerra in Medio Oriente. Ma funzionari della Casa Bianca hanno detto martedì di ritenere che l’Iran potrebbe riconsiderare un piano di ritorsione importante dopo l’assassinio, una settimana fa a Teheran, dell’ormai ex capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Gli Hezbollah libanesi sono ancora un’incognita. Lo scrive l’editorialista David Ignatius sul Washington Post. L’Iran potrebbe ripensare ai suoi piani dopo che gli Stati Uniti hanno fatto convergere i loro asset nella regione e hanno fatto arrivare alla Repubblica Islamica messaggi che avvertono del forte rischio di una grave escalation e di conseguenze importanti per la stabilità del governo del nuovo presidente Masoud Pezeshkian. «L’Iran comprende chiaramente che gli Stati Uniti sono risoluti nella difesa dei nostri interessi, dei nostri partner e della nostra popolazione - ha detto a Ignatius un funzionario di alto livello dell’Amministrazione Usa - Abbiamo spostato una quantità significativa di asset militari nella regione per sottolineare questo principio».
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Nel fine settimana passato il presidente Usa Joe Biden ha condotto un’intensa attività diplomatica e di preparazione militare per evitare una «guerra catastrofica» in Medio Oriente. Il lavoro della Casa Bianca ha incluso «avvertimenti diretti» al premier israeliano Benjamin Netanyahu a non ostacolare il cessate il fuoco a Gaza, oltre all’invio di asset militari e ai messaggi all’Iran per sollecitare moderazione in un contesto in cui, secondo l’editorialista, la «risposta iraniana è complicata da un’apparente confusione sulle circostanze della morte di Haniyeh». Prima le notizie di un missile, poi di una bomba.
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L’editoriale parla di un lavoro diplomatico «complesso» di Biden con Netanyahu, di come il conflitto a Gaza abbia rilevato una «tensione» nelle relazioni tra Usa e Israele che ha «turbato Biden». E ricorda il colloquio duro di giovedì scorso in cui il presidente americano si è lamentato con il premier israeliano per gli ostacoli al lavoro Usa per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi trattenuti nella Striscia dall’attacco del 7 ottobre di Hamas in Israele e in cui ha sollecitato Netanyahu a essere un «buon alleato». E, questa settimana, si dice il premier israeliano abbia informato almeno un componente della sua coalizione di destra di sostenere il testo di accordo senza emendamenti. A far crescere la «frustrazione» di Biden con Israele era arrivata poi l’uccisione di Haniyeh, all’indomani dell’assassinio a Beirut del comandante di Hezbollah, Fuad Shukr. Operazioni brillanti dal punto di vista tattico, sintetizza l’editoriale nell’ottica americana, ma strategicamente poco sagge, anche se l’Amministrazione Usa ha concluso che si è trattato di opzioni che avevano sostegno in Israele. Ad esempio dopo la strage a Majdal Shams, sulle Alture del Golan, sarebbe stato il ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant a dare l’ordine di eliminare Shukr e ufficiali israeliani di difesa e intelligence hanno ’giustificato' l’attacco a Haniyeh arrivato in un raro momento di opportunità che andava colto nonostante i rischi di ripercussioni sulla mediazione Usa.
Secondo l’editoriale, funzionari dell’Amministrazione riconoscono che alcuni elementi dell’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi saranno difficili da ’digerirè per gli israeliani. Per ogni ostaggio israeliano verrebbero liberati 50 detenuti palestinesi, alcuni con condanne all’ergastolo. E, date le condizioni, Israele vuole sapere quanti ostaggi sono vivi a dieci mesi dall’attacco del 7 ottobre. Su questi dettagli, e altri, continuano a lavorare i mediatori. «Gli Stati Uniti sostengono fermamente l’accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi che è sul tavolo - ha risposto a Ignatius il funzionario dell’Amministrazione Usa - Rimangono solo le questioni relative all’attuazione dell’accordo. Siamo pronti a concludere».