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Iran, la profezia del generale Tricarico: “Missili e droni contro Israele. La fotocopia del 13 aprile”

Leonardo Tricarico
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A meno di qualche trovata al momento non ipotizzabile, non sono molte le opzioni a disposizione dell’Iran per punire Israele dell’uccisione di Ismail Haniyeh in casa propria lo scorso 31 luglio. Né Khamenei né i suoi alleati dispongono di uno strumento militare che si possa permettere di impensierire Israele in una confrontazione convenzionale del tipo di quella con cui Putin ha impegnato l’Ucraina, tanto per intenderci. La chiamata alle armi del terrorismo, quello riconducibile alla confessione sciita, non pare poi una strada percorribile se la punizione deve essere di magnitudo pari allo smacco subito: la capacità operativa dei gruppi armati dell’asse della resistenza non sembra di livello tale da colpire obiettivi la cui emblematicità sia paragonabile all’affronto subito. Non resta quello che tutti ipotizzano e che Israele teme: un attacco aereo di vaste proporzioni mediante missili e droni. Un remake di quello portato il 13 aprile, magari correggendo ciò che allora non è andato, sempre che gli iraniani da quell’episodio abbiano appreso le giuste lezioni.

 

 

Razzi, missili da crociera, missili balistici, droni: questi dovrebbero essere i sistemi d’arma con cui la difesa aerea di Israele dovrà ancora una volta misurarsi in un secondo «stress test» forse di proporzioni maggiori, da direzioni più diversificate e con una meglio calcolata concentrazione dei tempi. Ancora una volta il preavviso, o in questo caso il mancato preavviso, non giocherà un ruolo dirimente, c’è da scommettere che il sistema israeliano sia già in stato di massima allerta a prescindere. Semmai ogni giorno che passa consente ad Israele di mettere a punto i meccanismi di reazione particolarmente complessi, anche perché integrati con i dispositivi di altri paesi amici, Stati Uniti in primis e forse ancora i britannici, Arabia Saudita e qualche altro paese arabo dell’area che in una maniera o nell’altra contribuiranno ad irrobustire lo scudo di difesa. L’avvistamento dei mezzi in penetrazione, delle tracce radar ostili, potrà così contare su una vasta serie di sensori i cui dati confluiranno in un unico panorama, in una air picture aggiornata in continuazione e trasmessa in tempo reale ai vari utenti alleati. In questo senso, di particolare, forse unica, utilità operativa saranno i dati forniti dai radar volanti israeliani, i Caew (Conformal Airborne Early Warning) mezzi di straordinaria efficacia in grado di vedere qualunque oggetto si muova e a qualsiasi quota quando la sua velocità superi i 40 km/ora. E che saranno in volo 24 ore al giorno, coprendo sui 360 gradi i possibili obiettivi, trasmettendo i dati in automatico a tutti gli altri utenti e svolgendo anche le funzioni di comando dell’operazione di difesa complessiva.

 

 

L’ingaggio degli incursori ostili sarà affidato all’Iron Dome, un sistema anch’esso straordinario che ha già dato eccellente prova di sé e che sarà affiancato da altri sistemi distribuiti sul territorio nonché probabilmente dal supporto di altri assetti amici il cui raggio di azione sia utile a neutralizzare le incursioni iraniane e dei suoi alleati. In tempi ordinari un simile dispiegamento di forze blinderebbe gli spazi aerei da qualunque tipo di minaccia; e tuttavia, in caso di concentrazione degli attacchi in tempi sapientemente scansionati, di distribuzione dei compiti offensivi a chiunque possieda un mezzo idoneo sui 360 gradi e di utilizzo di una gamma di sistemi diversi per prestazioni e caratteristiche operative qualche crepa la potrebbe provocare, insieme a seri, seppur limitati e temporanei, problemi per un pur eccellente sistema di difesa quale quello israeliano. Quello che forse desta maggior preoccupazione è l’apparizione sulla scena della confrontazione militare di alleanze di scopo, alcune palesi, quasi automatiche, altre ancora in ombra, altre ancora contenute alle dichiarazioni ufficiali più o meno prudenti o di parte, ma che, con il perdurare delle animosità e delle ragioni irrisolte, potrebbero innescare un allargamento del conflitto verso esiti difficilmente governabili.

 

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