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Kamala, le dinasty Cliton-Obama: caccia al dopo Biden e regolamento dei conti

Aldo Torchiaro
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Meglio di una serie Netflix. La telenovela delle elezioni americane non è avida di emozioni. House of Cards non aveva tanti colpi di scena. E se non è Dinasty, poco ci manca. Al centro della contesa ci sono due grandi famiglie. Due dinastie di aristocrazia progressista che sono diventate, negli anni, due grandi cordate di potere. E che oggi si sfidano apertamente: gli Obama contro i Clinton. Con Nancy Pelosi nel mezzo che prima appoggia Barack, poi si schiera con Bill. Quante donne. E quante primedonne. Kamala Harris si sente in rampa di lancio. Lo sarà davvero, fino in fondo? Se i Clinton tirano la volata all’ex Vicepresidente, gli Obama stanno lavorando a un’ipotesi diversa. Obama, record ineguagliato di follower sui social, twitta: «Serve una candidatura eccezionale». È evidente che non parla di Kamala. Un giovane? Un outsider? Un grande imprenditore, Un nuovo attore da Hollywood? E l’America sta a guardare, una volta di più a bocca aperta, il naso per aria. «Non sappiamo ancora molte cose, ma sappiamo che Barack Obama è in campo, si sta muovendo molto, ha riattivato la sua rete e sta preparando le sue mosse», ci dice Cecilia Capanna, giornalista dal doppio passaporto che segue la politica americana da vent’anni.

 

 

 

Ma su cosa sta lavorando Obama con tanta lena? «Certo, se ci fosse una candidatura disruptive, scombinerebbe le carte e renderebbe il voto, per ora avviato a un risultato prevedibile, di nuovo del tutto aperto », l’analisi di Simone Crolla, Dc dell’American Chamber. Una novità dirompente, pilotata dagli Obama, ha il nome e il volto di Michelle. Lo prefigura, forse auspicandolo, Giuliano Ferrara. «Sarebbe una novità importante», dice il fondatore del Foglio. «Sarebbe un nome di grande peso» anche per Crolla. Nessuno nasconde le difficoltà. La corsa all’ultimo minuto. L’aggancio con il meccanismo iper-regolamentato delle primarie e quello, quasi funambolico, con i big donors della campagna. Economist svolge con YouGov un sondaggio e, sia come sia, include anche Michelle. Tra gli intervistati il 29% voterebbe Kamala Harris contro il 7% per il governatore della California Gavin Newsom, e solo il 4% per Michelle Obama. Gran parte degli intervistati però non commenta: il 15% è indeciso e il 31% non risponde. Segno che Michelle può essere in pista, ma rimane sottocoperta. «Non sono in corsa», ha ripetuto più volte. Manca forse il segnale che gli Obama attendono. E il segnale può venire dagli stessi sondaggisti, se nell’opzione tra Kamala Harris e Donald Trump il vantaggio del tycoon continuerà a confermarsi imprendibile.

 

 

 

Ron Brownstein, analista politico, suggerisce di concentrare l’attenzione sul ticket con Harris. Serve, dice l’esperto, «un maschio bianco eletto in uno Stato in bilico», come il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, il senatore dell'Arizona Mark Kelly o il governatore della Carolina del Nord, Roy Cooper. «Fossi in Michelle Obama, ci penserei. Sono sicuro che lei vuole candidarsi, ma forse non è questo il momento giusto », dice Piero Sansonetti - che a lungo è stato, nella sua carriera a L’Unità, inviato negli Stati Uniti – « perché Trump esaurirà nel 2028 la sua vicenda politica e sarà allora che potrà aprirsi un ciclo nuovo, per l’America. Se Michelle si candidasse nel 2028 avrebbe ottime chance di farcela », il pronostico a medio termine di Sansonetti. Il Dg dell’American Chamber, Crolla, condivide: «Queste elezioni le vincerà Trump. Michelle Obama sarebbe una grande novità ma può farcela nel 2028, non adesso». Servirebbe una mossa del cavallo, una trovata machiavellica. Ed ecco Matteo Renzi: «I democratici sceglieranno la candidatura che ha più chances di vincere o quella che è più forte per tenere unito il partito?
Le divisioni che in controluce si possono leggere anche da lontano tra la posizione dei Clinton e quella di Obama riflettono questo dubbio. Si va sul sostegno per molti aspetti naturale a Kamala Harris o si sceglie la carta fuori dal mazzo per provare a rovesciare la narrazione di Trump?».

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