il retroscena

Usa, l’ombra lunga di Obama sul dopo Biden. Michelle la vera carta per fermare Trump

Aldo Torchiaro

«Biden si ritirerà subito dopo la Convention di Trump», avevamo scritto il 4 luglio. «Appena terminata la convention del Great Old Party nel Wisconsin Joe Biden darà l’annuncio del suo passo indietro. Accompagnato da un certificato medico dove si dirà che ragioni di salute gli impediscono di continuare la corsa». Avevamo raccolto la voce di un’analista di intelligence americano che dava per certo l’annuncio dell’abbandono della corsa proprio in questo fine settimana, come è puntualmente accaduto. E adesso? «Verrà eletto un presidente di guerra: sarà Trump oppure una candidatura democratica coi fiocchi. L’unica guerriera è Michelle», ci viene detto da chi frequenta i palazzi del potere americano. Colti di sorpresa, i media americani rilanciano: il Presidente in carica si avvicenderà. Lo fa anche per salvaguardare un minimo di dignità per la sua leadership umiliata, tentando di blindare in una parvenza di passaggio di torcia istituzionale quello che è, fuor di dubbio, un momento del tutto straordinario.

 

  

 

Lo speaker della Camera, Mike Johnson, chiede a Biden di dimettersi dalla presidenza degli Usa e uscire dalla Casa Bianca, adesso. Provando ad anticipare addirittura la data elettorale del 5 novembre. I democratici non ne vogliono sapere. Al contrario, hanno bisogno di tempo. La convention che dovrà incoronare il candidato ufficiale si svolgerà tra un mese, dal 19 al 22 agosto a Chicago. Comunicando il passo indietro, Joe Biden indica in Kamala Harris la candidata presidente. Una mossa formalmente prevedibile ma priva di forza effettiva. La partita non gli appartiene più. Non è più lui a guidare i Dem verso il nuovo mandato, anzi: è la causa del momento di peggior impasse per gli antagonisti di Donald Trump. Kamala, d’altronde, non è troppo amata neanche dai suoi. E poi se i Dem vogliono dare l’impressione della svolta, devono stupire con gli effetti speciali. Non con la minestra riscaldata. «Non sappiamo molto su chi sia Kamala Harris, non sappiamo neanche per certo che sarà lei ad essere candidata», insinua il dubbio la direttrice dello IAI, Nathalie Tocci. Arrivati a questo punto i maggiorenti Democrats vogliano dire la loro. Si riaprono le consultazioni ufficiali. E si riaprono le valutazioni di tutti gli incubent, di tutti i potenziali candidati. Ma c’è poco, pochissimo tempo. E dunque?

 

 

Rimane il Papa nero. La carta Omaba. Lui fa sapere di esserci, come sempre, per dare una mano. Sponsor principale di Biden nel 2020, Barack Obama ha giocato un ruolo centrale nel convincerlo a fare il passo indietro. E adesso sente la responsabilità del momento. Non si può ricandidare, no. Ma ha in casa chi può farlo. Michelle Obama può essere la migliore alternativa a Kamala Harris, avendo dalla sua l’effetto-novità che serve per provare a competere in questa sfida. Ufficialmente ha detto di non essere in corsa. Fino a ieri. Oggi tutto sembra poter cambiare. Chi potrà persuaderla? I delegati democratici, i grandi sponsor, perfino il deep state sembra essere dalla sua. «Ma non ha bisogno di essere persuasa», ci dice una fonte americana ben informata. «Lei e Barack sono un ticket di fatto». Vedremo se anche questa volta avrà avuto ragione.