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Francia, l'estremista Melenchon: ex massone e anti Israele che scatena le piazze

Pietro De Leo
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Per quanto puoi reprimere, soffocare, limitare, lui è sempre lì, un geyser pronto ad affiorare in superficie, espettorando ideologia ed estremismo. Jean-Luc Mélenchon, leader di La France Insourmise e cardine più solido del Nuovo Fronte Popolare uscito dalle elezioni legislative con il maggior numero di seggi. Rafforzare il ventricolo riformista è un percorso arduo per il volenteroso Raphael Glucksmann, che comunque ha avuto il merito di ridare ossigeno alla tradizione socialista. La locomotiva del convoglio di sinistra è presidiata da quel leader radicale che in quanto tale non ha spazi d’ombra nella sua identità. È tutto assolutamente chiaro: anti israeliano, affine ai regimi di quest’epoca come Cina e Venezuela. Poco importa mandare in tv, al confronto con i giovanissimi Attal e Bardella, il meno impattante Bompard nella fase precedente al primo turno. Lui, Mélenchon, comparirà la sera dello spoglio sul palco, con a fianco l’eurodeputata filo palestinese Rima Hassan. Lesto a prendersi la scena così come dopo i ballottaggi.

 

 

Hassan, si diceva. La compagnia di giro è un po’ quella lì. Ci sono tipi come Aly Diouara, che come ricordava il Corriere della Sera di ieri definì Glucksmann «sionista». Oppure come Christophe Prudhomme, consigliere regionale dell’Ile-de-France, che lo scorso anno si presentò in un sit in sotto una sede locale del partito di Macron invocando per il Presidente della Francia lo stesso destino di Luigi XVI (per i meno avvezzi, la decapitazione). Poi Prudhomme provò a giustificarsi (una roba tipo «attaccavo la carica, non la persona»), ma il senso non cambia. Il progetto di Mélenchon è molto odio e scontro sociale. Secondo quella lettura distopica e parecchio furba delle disuguaglianze sociali (tema vero, senz’altro), che come ricetta presuppone ulteriori disgregazioni. Lavoratori contro imprenditori, la ricchezza concepita come un sacrilegio da lavare attraverso un uso massiccio di imposte patrimoniali. La pubblica sicurezza vista come un sacrilegio. Ne sanno qualcosa i poliziotti che osarono effettuare un’ispezione nella sede di La France Insourmise, nel 2018, e si trovarono contro un Mélenchon imbestialito che disse loro la qualunque. Con un sottotesto: «La France c’est moi» la Francia sono io. E ne ricavò, lui, la sospensione dal Grande Oriente di Francia.

 

 

Comunque, Mélenchon è uno che la sa lunga. Provenienza socialista (fu ministro delegato dal capo del governo Lionel Jospin), rompe nel 2008, anno della grande crisi. Sbaglia, però, chi immagina un Melanchon alienato nell’empireo dell’idealismo puro. Certo, il suo endorsement alla formazione di Luigi De Magistris in occasione delle elezioni politiche italiane nel 2022 non lo aiutò. Lui era reduce da un ottimo piazzamento al primo turno delle presidenziali francesi, dove era arrivato terzo dietro a Marine Le Pen, risultato che lo aveva rafforzato all’attenzione delle opinioni pubbliche fuori confine. Tuttavia, sa calarsi nelle logiche di una contesa politica che si muove molto sul piano dell’immagine. La presenza di Rima Hassan dietro di lui la sera del primo turno ne è, appunto, una dimostrazione. Così come la sfida all’impossibilità di essere ubiquo, utilizzando nei comizi un ologramma che gli consente di essere «presente» in più luoghi contemporaneamente. E ancora le sue incursioni alle fiere dei videogiochi, di cui pare sia appassionato. E che gli consentono di allinearsi con le giovani generazioni. Perché alla fine, dalle parti della sinistra, il meccanismo funziona sempre allo stesso modo: il moralismo anticapitalismo va bene fin quando non tocca qualcosa che ci piace. In quel caso, basta mettere il tasto pausa. Come nei videogiochi.

 

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