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Francia in un limbo, Macron respinge le dimissioni di Attal: "Resti per la stabilità"

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È in un limbo la Francia all’indomani delle elezioni legislative. Il secondo turno ha decretato un’Assemblea nazionale spaccata in tre blocchi principali: gauche, centro ed estrema destra, con la maggioranza alla gauche ma nessuno dei tre gruppi vicino alla soglia dei 289 seggi della maggioranza assoluta. Mentre Parigi si appresta a ospitare le Olimpiadi, dunque, il Paese affronta il dilemma di quale possa essere un nuovo governo. Risposta non semplice. Il primo ministro uscente, Gabriel Attal, in mattinata ha presentato le dimissioni, ma il presidente Emmanuel Macron le ha respinte chiedendo ad Attal di restare «per il momento» per «garantire la stabilità del Paese». L’Eliseo a urne chiuse l’aveva fatto sapere subito: Macron «aspetterà che la nuova Assemblea nazionale sia strutturata prima di prendere le decisioni necessarie». D’altra parte una data precisa per la nomina del premier non c’è e il presidente francese, che resterà in carica fino al 2027 e ha sempre escluso di dimettersi, è atteso presto a Washington per il summit Nato. Sul nome per il nuovo primo ministro non c’è chiarezza, né su quale maggioranza potrebbe poggiarsi il nuovo esecutivo. Il blocco delle sinistre, cioè il Nuovo fronte popolare (Nfp), che arrivato primo ha ottenuto secondo i risultati definitivi 182 deputati, ha da subito chiesto che gli sia affidato il governo.

 

 

 

Scenario che tuttavia non è scontato visto che non c’è una regola fissa che imponga la scelta di un premier che sia esponente del partito più grande del Parlamento. Tutt’altra aria tira invece nel Rassemblement National (RN), dove brucia ancora la ferita di essere arrivati al terzo posto mentre invece il partito sognava Jordan Bardella primo ministro a Matignon. Parlando davanti alla sede del partito, Bardella ha parlato di «sconfitta» e ha riconosciuto degli «errori», assumendosi la sua «parte di responsabilità», sottolineando tuttavia che «RN è ora la prima forza politica in termini di numero di voti e gli accordi elettorali tra Mélenchon e Macron ci hanno impedito di ottenere la maggioranza». Il riferimento è al fatto che, in termini di voti assoluti, RN ha ricevuto circa 8,7 milioni di preferenze, l’Nfp circa 7 milioni e il blocco centrista Ensemble circa 6,3 milioni (la traduzione in seggi dipende dal sistema elettorale a scrutinio uninominale maggioritario). Nel Nuovo fronte popolare - che include uno spettro di partiti molto ampio che abbraccia dai comunisti agli ecologisti, passando per socialisti e La France Insoumise (LFI) del controverso Jean-Luc Mélenchon - già domenica sera sono iniziate le trattative interne. Una riunione dei rappresentanti di tutti i partiti Nfp, preceduta da una pre-riunione di LFI, punta a gettare le basi per l’individuazione di un nome unitario per un primo ministro da proporre a Macron, nome che il fronte conta di indicare in settimana.

 

 

 

Che non sia «né François Hollande né Jean-Luc Mélenchon», aveva precisato la deputata Clémentine Autain chiedendo domenica la riunione. In particolare perché è chiaro che Mélenchon è un nome troppo divisivo per essere accettato. Lo stesso Mélenchon tuttavia non esclude Matignon: pur sottolineando che «avremo molte candidature da proporre» - e ha indicato come esempi i nomi di Manuel Bompard, Mathilde Panot e Clémence Guetté - ospite di LCI ha detto di ritenersi «capace» di ricoprire l’incarico. Ma dal campo centrista di Macron sono tante le voci che si sono levate contro un governo con LFI, puntando a spaccare il Nuovo fronte popolare. Durante tutta la campagna elettorale i centristi avevano puntato sul ritrarre come pericoli tanto l’estrema destra di Marine Le Pen quanto quella che bollano come estrema sinistra di Mélenchon, che si è attirato da molti critici accuse di antisemitismo per le sue posizioni anti-Israele in particolare dopo lo scoppio della guerra a Gaza. Edouard Philippe, ex primo ministro di Macron, ha invitato le forze politiche a «favorire la creazione di un accordo» ma senza il Rassemblement national (RN) né La France insoumise. E il ministro dell’Interno uscente Gérald Darmanin ha definito «fuori discussione l’ipotesi di governare con RN o LFI». Darmanin fra l’altro ha evocato un «governo di destra», sollevando quindi l’ipotesi di un governo con i conservatori di Les Republicains (LR).

 

 

 

Mentre, sempre dal centro, il leader di Modem François Bayrou ha chiesto un «accordo» che «vada dalla sinistra senza LFI alla destra che escluda RN». Quali opzioni se il campo centrista vorrebbe escludere LFI ma la gauche intende rimanere unita? Macron potrebbe cercare un accordo con la sinistra moderata per creare un governo comune, tendendo la mano per esempio a socialisti e Verdi, ma questi potrebbero rifiutarsi di accettarla. La Francia tra l’altro, a differenza di altri Paesi europei, non ha una tradizione di governo di coalizione. Un’altra fra le opzioni sul tavolo potrebbe essere un governo tecnico, ma tutto dipenderà dai colloqui delle prossime ore e forse giorni. Intanto nella gauche sono tanti i nomi che circolano in queste ore come ipotesi: fra i più citati Marine Tondelier, leader degli Ecologisti, e la deputata Clémentine Autain, che ha annunciato che non siederà più nel gruppo di LFI all’Assemblea nazionale; lo stesso vale per François Ruffin, altro potenziale candidato per Matignon, che pochi giorni prima del secondo turno delle legislative aveva annunciato la rottura con LFI in disaccordo con Mélenchon.

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