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Biden, attacco frontale dell'Economist: "Non si può". Cosa spunta in copertina

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«Il dibattito presidenziale è stato disastroso per Joe Biden, ma il tentativo di nascondere la verità è stato ancora peggiore. La vista di un uomo anziano confuso, incapace di ricordare parole e fatti, è stata dolorosa. La sua incapacità di sostenere un dibattito contro un avversario debole è stata scoraggiante. Tuttavia, l’operazione della sua campagna per negare ciò che milioni di americani hanno visto con i propri occhi è ancora più dannosa, poiché la sua disonestà provoca disprezzo». Inizia così l’editoriale dell’Economist, che sarà in edicola venerdì 5 luglio, che ha come immagine di copertina un deambulatore con lo stemma presidenziale e il titolo «No way to run a country», non si può guidare un Paese così. Una copertina dura, che alcuni commentatori su X hanno criticato: «Franklin Delano Roosevelt ha guidato gli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale - e salvato il Regno Unito - su una sedia a rotelle».

 

 

 

Prosegue l’editoriale del settimanale inglese, «Biden merita di essere ricordato per i suoi successi e la sua decenza, non per il suo declino. È giusto che i primi alti esponenti dei Democratici abbiano iniziato a chiedergli pubblicamente di farsi da parte (…). I Democratici sostengono giustamente che Trump è inadatto alla presidenza. Ma il dibattito e le sue conseguenze hanno dimostrato che anche Biden è inadatto. Prima di tutto, a causa del suo declino mentale. Biden può ancora apparire dinamico durante brevi apparizioni programmate. Ma non si può governare una superpotenza grazie all’uso di un gobbo. E non si può mettere in pausa una crisi internazionale perché il presidente ha una brutta serata. Si può affidare il codice nucleare a qualcuno che non riesce a completare una frase sulla Medicare?». L’Economist si aggiunge alle altre testate, alcune delle quali sicuramente non ostili ai democratici, a chiedere al presidente in carica di fare un passo indietro e lasciare che il suo partito scelga un altro candidato. L’editorial board del New York Times, e le sue principali firme, hanno fatto questa mossa subito dopo il disastroso confronto. Articoli in questo senso sono apparsi su Wall Street Journal e The Atlantic.

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