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Francia, ecco il golpe di Macron: la mossa disperata prima dei ballottaggi

Mira Brunello
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È una delle settimane più calde degli ultimi decenni a Parigi. Ed almeno questa volta non tanto dal punto di vista meteorologico. Il primo turno delle elezioni legislative francesi ha dato un risultato inequivocabile: ha vinto il Rassemblement national di Marine Le Pen con il 33%, seguito dalla coalizione di sinistra, il Nuovo fronte popolare, al 28%, e dai centristi di Macron al 21%. In altre parole, un’affermazione netta dell’underdog d’Oltralpe, ed una sconfitta per l’algido Presidente. Questo per quanto riguarda il primo tempo, ma come in una partita di calcio bisogna aspettare il novantesimo minuto per conoscere il risultato finale, ed assegnare la maggioranza della prossima Assemblea legislativa.

 

Quello che verrà fuori dopo i ballottaggi del 7 luglio (solo in 76 circoscrizioni su 577 c'è stata un'elezione nel primo turno). Per dire che la vittoria della destra di Bardella è ancora incerta o comunque può essere ridimensionata. Così come il destino del Fronte Popolare e dei centristi appeso a quei 499 seggi in cui domenica i francesi sceglieranno i loro deputati. Un’incertezza che ha dato fuoco alle polveri, con accuse e contro accuse tra Marine Le Pen ed il presidente Emmanuel Macron. Ha iniziato la leader di Rassemblement national paventando una sorta di «colpo di stato amministrativo» operato dall’Eliseo. «Sembra che il presidente stia pensando di nominare domani, cioè a 4 giorni dal secondo turno, il direttore generale della polizia nazionale, che avrebbe dovuto restare in carica fino alla fine delle Olimpiadi, e il direttore della gendarmeria nazionale», ha detto la Le Pen ai microfoni di France Inter.

 

Secondo la leader del Rn, «l’obiettivo» delle nomine affrettate sarebbe «di impedire a Jordan Bardella di governare il paese come vorrebbe» se il Rn conquistasse domenica la maggioranza al ballottaggio delle legislative. «Per gente che dà lezioni di democrazia alla Terra intera, è quanto meno sorprendente agire in questo modo», ha concluso Marine.

A stretto giro arriva la risposta dell’Eliseo: «Da 66 anni ogni settimana ci sono nomine e spostamenti, in particolare, l’estate, indipendentemente dalle congiunture politiche». E non si prevede che questo possa cambiare «nei prossimi mesi», aggiungono all'Eliseo. È che mai come stavolta il voto a Parigi è importante, per di più su diversi livelli, quello prettamente nazionale, la destra non è mai stata così vicina alla trionfo, oltre a quello continentale, con il Parlamento Europeo che sarà chiamato a breve confermare lo status quo dell’Ue.

Cosa succederà a Bruxelles il 18 luglio, se la destra dovesse andare al governo in Francia? Intanto la contromisura adottata dalla gauche e da Ensamble si chiama desistenza. Ovvero in quelle circoscrizioni dove al secondo turno sono passati tre candidati (bastava il 12,15% per accedere), uno dei due si dimette a favore di quello meglio piazzato al primo turno. Secondo il conteggio di Le Monde, le desistenze in funzione anti-RN sono arrivate a quota 208. Fra queste, quella della ministra con delega alle Collettività e alle campagne, Dominique Faure, che voleva rimanere in corsa in una circoscrizione in cui un socialista è in testa davanti a una candidata di Le Pen. Il dato del quotidiano francese indica che, dei 208 «désistements», 127 sono da parte di candidati della gauche e 75 della maggioranza legata a Emmanuel Macron. Una decisione quella della desistenza che ha prodotto divisioni a non finire soprattutto dalle parti del Presidente.
In una riunione notturna all’Eliseo, molti ministri hanno contestato la scelta del padrone di casa. La pietra dello scandalo è Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, e considerato, non a torto, anti semita, pro Hamas e pro Putin.

 

Per mettere le cose in chiaro, uno, Mélenchon, che nella piazza convocata dalla gauche dopo il voto, ha scelto di farsi scortare da una delle sue più discusse deputate, la giurista franco-palestinese Rima Hassan, che si è presentata indossando una kefiah, con inevitabile strascico di polemiche. «Come faranno i nostri elettori moderati a votare per Jean Luc?», si sono chiesti i ministri di Macron l’altra notte. 96 ore per saperlo, intanto Parigi continua a «bruciare».

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