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Israele, liberato il direttore dell'ospedale al-Shifa. Lite interna tra politica e servizi segreti

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Il rilascio del direttore dell’ospedale al-Shifa a Gaza City, Muhammad Abu Salmiya, arrestato lo scorso novembre durante la prima operazione militare israeliana nel complesso medico, ha sollevato tensioni nel governo dello Stato ebraico. Le immagini del medico al suo arrivo a Gaza, accolto dai parenti, insieme ad altri 50 detenuti palestinesi scarcerati, hanno fatto il giro dei social, scatenando la rabbia del ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, e mettendo sotto pressione il premier Benjamin Netanyahu, chiamato immediatamente in causa. Il leader dell’estrema destra ha denunciato su X il loro rilascio come «negligenza in materia di sicurezza», sostenendo che «è giunto il momento che il premier impedisca a Yoav Gallant (il ministro della Difesa) e al capo dello Shin Bet di perseguire una politica indipendente contraria alla posizione del gabinetto». Il capo del governo ha ordinato un’indagine, prendendo al contempo le distanze: la decisione in questione «fa seguito alle discussioni presso l’Alta Corte su una petizione contro la detenzione di prigionieri nel carcere di Sde Teiman» e «l’identità dei prigionieri liberati viene determinata in modo indipendente dagli agenti di sicurezza sulla base delle loro considerazioni professionali», ha fatto sapere il suo ufficio. Anche Gallant ha sottolineato la sua estraneità alla vicenda, ricordando che «le procedure per incarcerazione e rilascio dei prigionieri di sicurezza è regolata dallo Shin Bet e dal servizio carcerario israeliano e non è soggetta all’approvazione del ministro della Difesa».

 

 

Lo Shin bet, l'agenzia di intelligence per gli affari interni, si è difeso affermando di essere stata costretto a rilasciarlo a causa della mancanza di spazio nelle carceri israeliane. Abu Salmiya, come gli altri, sono stati scarcerati perché si è ritenuto che non fossero una minaccia significativa, soddisfacendo «tutti i requisiti riguardo al livello di pericolo rappresentato». I servizi segreti hanno anche ricordato gli allarmi lanciati più volte da un anno a questa parte «sulla crisi carceraria e sulla necessità di aumentare il numero delle (celle)». «Sfortunatamente queste richieste che sono state inoltrate a tutte le parti interessate, primo fra tutti il ministro della Sicurezza nazionale, che ne è responsabile, non sono state accolte», ha aggiunto, riferendosi a Ben-Gvir, tra i critici più feroci del rilascio di Abu-Salmiya, tanto da arrivare a dire in una chat di membri del gabinetto di governo che «è giunto il momento di rimandare a casa il capo dello Shin Bet» Ronen Bar. Da tempo il ministro chiede un trattamento più duro per i detenuti e nel 2023 aveva già proposto una legge sulla pena di morte solo per i palestinesi. «Bisognerebbe sparare proiettili alla testa dei prigionieri, invece di dare loro più cibo», ha sostenuto ieri in un video diventato virale.

 

 

L’ex direttore del più grande ospedale di Gaza era stato arrestato il 23 novembre per essere interrogato sulle «attività terroristiche» di Hamas nella clinica, alla luce di prove sull’uso dell’ospedale da parte di Hamas come «centro di comando e controllo», avevano riferito allora le autorità israeliane. Salmiya, subito dopo il rilascio, ha denunciato che i detenuti palestinesi nelle carceri israeliani stanno affrontando condizioni tragiche per la mancanza di cibo, acqua e l’uso della tortura. Il 21 giugno, Hamas ha invitato la comunità internazionale a indagare sui casi di abusi nei centri di detenzione israeliani, in particolare a Sde Teiman, dove sono rinchiusi i palestinesi presi a Gaza, al centro della petizione presentata alla Corte Suprema da numerosi gruppi per i diritti umani israeliani.

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