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Usa, i Dem scaricano Biden. Spuntano Michelle Obama e Kamala Harris, ma c'è una carta segreta

Lucio Martino
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Il dibattito ha evidenziato oltre ogni ragionevole dubbio che Joe Biden e Donald Trump si odiano. Non c’è stata una stretta di mano, né di apertura né di chiusura, in questo loro terzo incontro in poco meno di quattro anni. C’è stato pochissimo contatto visivo, i due hanno accuratamente evitato di guardarsi negli occhi. In sostanza, il dibattito si è già concluso nelle sue battute iniziali, quando Biden ha affermato di aver creato 15 mila posti di lavoro mentre avrebbe dovuto dire 15 milioni di posti di lavoro. È subito apparso chiaro che Biden non solo faticava a non perdere il filo del discorso, ma dava quasi l’impressione di non sapere di cosa stesse parlando, tanto evidente era la difficoltà a chiudere le sue argomentazioni. Biden e Trump si sono dimostrati in disaccordo su aborto, inflazione, cambiamento climatico e sul ruolo internazionale degli Stati Uniti. Il punto di svolta è poi arrivato quando Trump ha iniziato a martellare Biden sul confine, sull’immigrazione e sulla conseguente ondata di criminalità. Tutte cose alle quali il presidente in carica non ha trovato il modo di replicare efficacemente.

 

 

In ogni caso, a prescindere dai contenuti delle rispettive proposte politiche che, nonostante tutto, i due grandi rivali sono riusciti a presentare, saranno solo le difficoltà comunicative di Biden a rimanere nella mente della gente. Due i precedenti a questo proposito: il primo è quello del duello televisivo tra Richard Nixon e John Kennedy, vinto da Kennedy non per la bontà dei suoi argomenti, quanto per la sua maggiore telegenicità; il secondo è quello tra Jimmy Carter e Ronald Reagan, perso da Carter per via delle sue scadenti capacità comunicative. I dibattiti televisivi come questo devono quindi essere valutati più sullo stile e sull’impressione visiva che lasciano ai loro spettatori che sulla sostanza dei loro contenuti. In questa chiave è chiaro come Trump sia uscito vincitore dal dibattito perché è apparso composto e sicuro di se stesso, anche quando si è abbandonato alle sue solite false verità e alle sue appariscenti esagerazioni. Biden è invece apparso relativamente più competente ma molto esitante, anche quando i fatti erano chiaramente dalla sua parte. Soprattutto ha offerto un’immagine di sé quasi sofferente.

 

 

Con tutta probabilità, per quanto grande sia il danno arrecato da Biden in questo evento televisivo alle speranze dei Democratici di prevalere nelle elezioni del prossimo 5 novembre, e per quanto forti e diffuse siano le voci di coloro i quali credono ormai giunto il momento di sostituirlo, niente e nessuno può costringere il presidente in carica a ritirare la sua candidatura. Biden nella prima metà di quest’anno ha vinto facilmente le primarie del suo partito e, quindi, controlla la stragrande maggioranza di quei delegati il cui compito è di convertire quel risultato elettorale in un’investitura formale in occasione del congresso previsto per la metà di agosto. Almeno per il momento, Biden non sembra intenzionato a tirarsi indietro, come subito spiegato dagli uomini del suo staff. In effetti, la strategia fino adesso da lui implementata è costruita su l'impellente necessità di evitare comunque una seconda amministrazione Trump, descritta come pericolosamente eversiva, cosa questa che gli permette di poter quasi prescindere dalle sue stesse capacità fisiche e mentali. Tuttavia, nel caso in cui Biden decidesse di seguire le orme del presidente Lyndon Johnson, ritirando la sua candidatura, il Partito Democratico si troverebbe nella non facile situazione di dover nominare un candidato la cui caratteristica principale non può non essere identificata in una certa popolarità a livello nazionale, perché ormai è tardi per costruire una simile candidatura dal nulla. Il problema è che sono davvero pochi i Democratici in possesso di tale requisito, escludendo in linea di principio una vice presidente, Kamala Harris, data dai sondaggi come sicura perdente. Tra tutti spicca Gavin Newsom, il governatore della California, il cui accentuato progressismo lo rende però di difficile accettazione da parte degli elettori di un Midwest fondamentale per la conquista della Casa Bianca. Infine, un’eventuale uscita di scena di Biden potrebbe persino favorire il ritorno di quella che resta una delle personalità più famose dell’intera nazione, una Hillary Clinton che certo non disdegnerebbe l’opportunità di affrontare di nuovo Donald Trump.

 

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