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Usa, si alza l'asticella dell'attenzione sull'aviaria: "Rischiamo una pandemia"

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Si è alzata l'asticella dell'attenzione sull'influenza aviaria e i casi di mucche da latte contagiate dal virus hanno fatto scattare l'allarme. A marzo 2024 alcuni allevatori hanno notato che i loro animali iniziavano a comportarsi in maniera insolita e l'hanno segnalato. Alcune settimane dopo, il 30 aprile, il Dipartimento dell'agricoltura degli Usa (Usda) ha confermato «la presenza del virus di influenza aviaria ad alta patogenicità» in 34 allevamenti di mucche da latte in 9 Stati americani. L'annuncio ha avuto effetti immediati, soprattutto perché il virus si è dimostrato capace di diffondersi da un allevamento all'altro. «Se molti lavoratori delle aziende lattiero-casearie contraggono l’H5N1», il virus aviario che circola tra le mucche in diversi stati Usa, «rischiamo una pandemia». Jennifer B. Nuzzo, Lauren Sauer e Nahid Bhadelia, tre accademiche americane, lo scandiscono a chiare lettere in un intervento pubblicato sul ’Washington Post’. Le misure «giustamente disposte» dal Dipartimento dell’Agricoltura per evitare che l’influenza aviaria si diffonda tra gli allevamenti bovini anche in altri stati del Paese, avvertono le tre esperte, «potranno ben poco contro la minaccia principale che l’H5N1 rappresenta per l’uomo: l’infezione dei lavoratori» delle imprese colpite.

 

 

«La nostra incapacità di proteggerli», ammoniscono, non solo «mette a rischio la loro salute», ma «dà al virus l’opportunità di evolversi in» un patogeno che costituirebbe «un rischio maggiore per le persone, compresi coloro che vivono lontano dagli allevamenti». Nuzzo è docente di epidemiologia e direttore del Centro pandemico alla Brown University School of Public Health; Sauer è professore associato all’University of Nebraska Medical Center dove dirige lo Special Pathogen Research Network, mentre Bhadelia, infettivologa, è professore associato, direttore e fondatore del Centro sulle infezioni emergenti della Boston University. Nell’articolo ricordano che ad oggi è noto soltanto un caso di contagio mucca-uomo nell’ambito dell’epidemia in corso tra i bovini statunitensi (il lavoratore del Texas che ha riportato una congiuntivite emorragica), però citano le dichiarazioni rilasciate dalla veterinaria Barb Peterson alla pubblicazione specializzata ’Bovine Veterinarian’.

 

 

«Ogni azienda con cui ho lavorato, tranne una, ha avuto persone malate nello stesso momento in cui aveva vacche malate. C’è stata una sottostima del virus» fra gli esseri umani, ha dichiarato. Altri report dicono la stessa cosa, sottolineano le firmatarie dell’intervento sul Wp, e «questi rapporti sono preoccupanti non perché le infezioni siano gravi - precisano - ma perché qualsiasi incremento dei contagi umani aumenta le possibilità che il virus raggiunga qualcuno che soffre di altre malattie e che, se infettato, potrebbe subire conseguenze peggiori. E storicamente - rammentano - l’H5N1 non è stato lieve negli uomini: su quasi 900 persone che, a quanto sappiamo, sono state infettate finora nel mondo, il virus ne ha uccise circa la metà».

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