L'intervista
Iran, il generale Tricarico: "La reazione ci riguarda tutti". Chi può far finire le guerre
«La reazione dell’Iran non sarà negli impenetrabili cieli di Israele, ma riguarderà tutti quanti noi. Gli ayatollah stanno già risvegliando i dormienti lupi solitari». È quanto sostiene Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare.
Che idea si è fatto rispetto alla risposta di Israele all’Iran?
«É stato applicato il principio del contrappasso. Israele, a Gaza, non ha avuto alcun riguardo per quanto concerne la proporzionalità della risposta. Adesso, invece, ha dovuto subirla. Pur essendo stato oggetto di un massiccio attacco, realizzato per far danni, ha dovuto contenere la reazione. La scelta dell’Iran, a differenza di come vogliono far passare molti, non è stata uno scherzo o una messa in scena».
Danni, però, non ne sono stati fatti in entrambe le operazioni.
«Da parte iraniana non è stato danneggiato nulla perché non ci sono riusciti. Da parte israeliana, invece, perché non hanno voluto. Israele, per scelta deliberata, ha deciso di non nuocere all’Iran. Una decisione che è costata moltissimo al governo di Gerusalemme. Per la prima volta, è andato contro la sua stessa natura».
Non è un segnale di debolezza per Netanyahu?
«È il segno che la moderazione finalmente comincia ad avere cittadinanza anche a quelle latitudini. Le dimensioni e il tipo di dell’ultimo attacco sono molto meno che simbolici».
Non ci sarà un’escalation? Come proseguirà il conflitto?
«Ne escludo uno di carattere tradizionale. Non riesco a pensare come possa farlo un Paese, quale l’Iran, con capacità militari bisognose di aggiornamenti e tecnologie non particolarmente significative. Il 13 aprile è venuto fuori un dato di fatto: i cieli di Israele sono impenetrabili. Chiunque intende attaccarlo su quel campo non ha alcuna possibilità di successo».
Allora come pensano i Pasdaran di fermare Israele? Uno sbarco navale?
«Siamo all’assurdo. Potrebbe, invece, esserci un conflitto di altra natura. L’Iran potrebbe avvalersi di un ricorso più esteso all’asse della resistenza. Ci può essere un’arma sullo sfondo, finora dormiente, ma con potenzialità superiori a tutte le altre. Mi riferisco al terrorismo. Mediante la chiamata alle armi di matrice islamica radicale si vogliono risvegliare quei lupi solitari, che non sono mai scomparsi e che possono mettere in apprensione l’intero Occidente. Attenzione al radicamento di una nuova dottrina».
Però gli iraniani non sono visti così bene da tutto il mondo islamico. Basti pensare alle storiche differenze tra sciiti e sunniti.
«In tutti i settori dell’operare, dell’agire e, quindi anche del credo, si sta palesando una linea di demarcazione ben precisa. Lo stesso accade per il terrorismo. A spaventarci non devono essere le conseguenze delle rappresaglie tra Iran e Israele, ma il radicarsi di una separazione di fronti e coalizioni. La percezione di un Iran emarginato crea nuove alleanze, allo stato solo concettuali. Non è, quindi, da escludere che in un futuro prossimo potrebbero diventare strutturali e potremmo trovarci il mondo sciita contro quello sunnita».
Essite un grande mediatore globale che può spegnere i fuochi?
«Se bisogna rivolgersi a qualcuno, che fino a questo momento ha mostrato saggezza, lungimiranza e moderazione, è la Cina. Si riprenda quel famoso piano a 12 punti. È stato accantonato, mentre andrebbe ripreso. Così potrebbe esserci una piattaforma di negoziazione per un cessate il fuoco almeno sul fronte russo-ucraino. Si darebbe un segnale chiaro: nel pianeta c’è qualcuno in grado di mettere ordine sui vari fronti».