Guerra, nel mondo sono tutti a caccia delle difese anti-missile. Ma scarseggiano
Difese anti-missile cercasi. È l’annuncio che sta più spopolando negli ultimi anni. Complice la guerra in Ucraina, le tensioni nel Mar Rosso e ora gli attacchi tra Israele e Iran, le difese di tutto il mondo hanno ormai capito che bisogna proteggersi dal cielo perché é da lì che arrivano i maggiori pericoli. Missili, droni e gli stormi nemici sono il nuovo pericolo mortale e in questo scenario è nata la bolla delle difese anti-missile con costi che salgono alle stelle e tempi di consegna lunghissimi. I missili terra-aria sono così ormai una rarità e le immagini arrivate di recente da Cernyhiv, alle porte di Kiev, fanno comprendere cosa voglia dire non averne. Gli ordigni russi, arrivati indisturbati sull’obiettivo, hanno spinto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a un appello disperato agli alleati. Istanze però rispedite al mittente dai partner europei che fanno sempre più fatica a privarsi dei preziosi sistemi di difesa. Una bolla delle difese anti-missile, spiegata da Gianluca Di Feo su La Repubblica, in atto dall’invasione di Putin dell’Ucraina. Una corsa globale agli intercettori, sempre più frenetica: “tutti vogliono dotarsi di scudi per tenere lontani cruise, ordigni balistici e droni. E stiamo parlando di equipaggiamenti costosissimi”.
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La Marina statunitense ha stimato in un miliardo, i dollari già spesi per frenare gli Houthi e i loro attacchi nel Mar Rosso. Le forze di difesa israeliane hanno speso oltre mezzo miliardo per difendersi dall’attacco sferrato dell’Iran. Sono stime fatte sui tariffari pre-conflitto. “Le quotazioni attuali sono molto più alte – spiega Di Feo –. Un missile Pac-3 per i Patriot nel 2020 veniva pagato intorno a tre milioni di dollari: i mille ordinati un anno fa da un consorzio di Paesi europei e prodotti in Germania costeranno cinque milioni a esemplare”. Costosissimi i dardi SM-3 del sistema Aegis: 27 milioni ciascuno. Ma perché accade tutto questo? “In parte si tratta di una bolla speculativa – spiega il cronista –. In parte perché i nuovi modelli sono provvisti di aggiornamenti e migliorie dettate dalle esperienze di questi anni di battaglie”.
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Che la situazione sia grave lo dice anche il Pentagono che ha chiesto al Congresso “urgentemente” 95 miliardi di dollari per rimpiazzare gli armamenti inviati a Zelensky. Nell’ottica di un possibile confronto diretto con la Cina, poi, gli statunitensi stanno destinando sempre più soldi al potenziamento delle fabbriche di missili, con la volontà di aumentare la produzione nei prossimi 3 anni. Mentre negli States si lavora in velocità, in Italia – dove sono presenti ‘solo’ 5 batterie terra-aria – si fanno i conti con la burocrazia e si stima che una cupola nazionale sarà pronta solo nel 2032. Si calcola infatti che i lavori nelle strutture cominceranno quando le fabbriche d’oltreoceano “saranno già in piena attività”. Con la produzione continentale inceppata, altri paesi hanno sviluppato – e vendono – i propri sistemi di difesa: la Turchia ha venduto a Kazakistan e Nigeria un semovente antiaereo. Risultato? Nel 2023 le esportazioni belliche turche hanno raggiunto i cinque miliardi di euro. “Molto più ricco il colpo della Lig Nex1 di Seul” spiega il cronista, citando la vendita nella Penisola arabica dei missili a medio raggio sudcoreani per un totale di sei miliardi e mezzo di euro. Infine, la Russia. Putin e la sua economia di guerra hanno rivoluzionato le catene di montaggio. Ogni mese, lo zar produce “il numero di missili d’attacco che nel 2022 venivano realizzati in un anno”. Tutto merito dell’autocrazie, sottolinea e chiosa Di Feo, che “possono ignorare qualsiasi regola e permettono all’esercito di Mosca di scagliare senza sosta una pioggia di ordigni contro l’Ucraina”.
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