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L'Iran dietro il crollo dei Bitcoin: "Guadagnati 1,1 miliardi", così hanno finanziato l'attacco

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Per finanziare l'attacco a Israele la repubblica islamica dell'Iran ha creato il caos sulle piattaforme di criptovalute. Una serie di speculazioni sui Bitcoin nella notte del 13 aprile ha fatto crollare il prezzo della valuta virtuale e, secondo gli esperti, dietro c'è la manina di Teheran che ha venduto improvvisamente le proprie riserve scommettendo poi sui futures, guadagnando in poche ore milioni e milioni, forse più di un miliardo di dollari. "È stata un'operazione violentissima. In una notte abbiamo visto un crollo nel valore dei Bitcoin che non vedevamo da marzo", spiega Elham Makdoum, analista esperto di geopolitica delle criptovalute in una intervista al Giornale. Il crollo "non è stato fisiologico", troppo veloce nel precipitare e lento nel recupero.

 

Ma cosa è successo? In base alla ricostruzione da una parte l'Iran avrebbe venduto una fetta dei suoi Bitcoin quando il prezzo era 67mila dollari (oggi è intorno a 59mila), dall'altra avrebbe operato sui futures scommettendo sulla diminuzione del mercato, causata proprio dalla vendita in blocco di grandi quantità di Bitcoin. Un attacco a tenaglia, su due direttrici. In base alle stime dell'esperto, "nel mercato tradizionale sono andati in fumo 130 milioni di dollari e nei futures 1,5 miliardi, 1,1 dei quali finiti a Teheran che ha alterato tutto".

 

Il paese degli Ayatollah è da anni attivo nelle criptovalute, e il mining (ossia le operazioni con crittografia blockchain grazie alle quali è possibile coniare moneta virtuale) legale equivale al 5% del mercato globale. Conoscenze che l'Iran ha condiviso con i proxies, ossia i gruppo dell'asse come Houthi e Hezbollah, anche loro in grado di finanziarsi in questo modo.  

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