medio oriente
Israele, l'attacco dell'Iran "significativo e inevitabile". Mondo col fiato sospeso
Sono passati esattamente sei mesi dal 7 ottobre 2023 quando un raid senza precedenti di Hamas nel sud di Israele uccise 1.170 israeliani e stranieri, la maggior parte dei quali civili. Il conflitto generato è ancora senza soluzione, e si sviluppa tra tentativi di pace e una continua guerra di parole tra Tel Aviv è il movimento islamista. Oggi Israele ha ritirato le sue forze di terra dal sud della Striscia di Gaza, un ritiro parziale, accompagnato dalle dichiarazioni dell’esercito di Tel Aviv che hanno fatto sapere che una «forza significativa» continuerà comunque a operare altrove nel territorio palestinese assediato, in grado di «condurre precise operazioni basate sull’intelligence». Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sotto intenso pressing americano per porre fine alla strage di civili in una Striscia di Gaza ormai devastata, è intervenuto dicendo che Israele è solo «a un passo dalla vittoria» e ha promesso che non ci sarà tregua nei combattimenti finché Hamas non avrà liberato tutti gli ostaggi.
Di fatto domani sarà una giornata chiave per i negoziati al Cairo dove si incontreranno i mediatori di Stati Uniti, Egitto, Qatar, Israele e Hamas, nel tentativo di raggiungere una tregua e il rilascio degli ostaggi. Ma Israele non sembra recedere dal suo intento di vincere su Hamas. «Non ci sarà alcun cessate il fuoco senza il ritorno degli ostaggi. Semplicemente non accadrà» ha detto il premier parlando a una riunione di gabinetto. «Israele è pronto per un accordo - ha anche aggiunto -, ma non è pronto ad arrendersi».
Intanto gli attacchi aerei hanno continuato a colpire Khan Yunis e Rafah durante la notte, secondo testimoni oculari. «La 98esima divisione commando ha concluso la sua missione a Khan Yunis», ha detto l’esercito all’AFP. «La divisione ha lasciato la Striscia di Gaza per riprendersi e prepararsi per le operazioni future» hanno aggiunto le forze armate allontanatesi dal Sud della Striscia. «Abbiamo fatto tutto il possibile lì» ha fatto sapere un funzionario. Se la mossa di Israele sia o no foriera di un accordo di pace si capirà domani quando il capo della CIA Bill Burns e il primo ministro del Qatar Sheikh Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al-Thani si uniranno ai funzionari egiziani per colloqui indiretti tra le delegazioni israeliana e di Hamas.
Dietro le mosse di Tel Aviv ci sono anche le parole del presidente degli Stati Uniti Joe Biden che giovedì scorso, irritato per un attacco israeliano che ha ucciso sette operatori umanitari di un ente di beneficenza alimentare con sede negli Stati Uniti, aveva detto a Netanyahu di voler vedere un cessate il fuoco e un accordo sul rilascio degli ostaggi e un aumento delle consegne di aiuti. Biden - il cui governo è il principale fornitore di armi e sostenitore politico di Israele - aveva anche accennato a subordinare il sostegno degli Stati Uniti a Israele alla riduzione dell’uccisione di civili e al miglioramento delle condizioni umanitarie.
Ma sullo sfondo c’è anche la minaccia Iran. Gli Stati Uniti si aspettano un «significativo» attacco entro la prossima settimana da parte di Teheran, con bersaglio Israele o asset americani nella regione, in risposta all’attacco israeliano a Damasco in cui sono morti importanti ufficiali iraniani. Washington ritiene che l’attacco da parte dell’Iran sia «inevitabile», una visione condivisa da Israele. E i due governi starebbero lavorando in vista dell’attacco.
Colpire direttamente Israele sarebbe uno degli scenari peggiori che l’amministrazione Biden sta prendendo in considerazione, perché potrebbe portare a una rapida escalation delle tensioni in Medio Oriente. Il rischio è quello di un allargamento del conflitto con Hamas, qualcosa che il presidente Usa Joe Biden sta cercando di evitare da mesi. Netanyahu lo teme ma continua a far sfoggio di forza e invincibilità: «Chiunque ci faccia del male o abbia intenzione di farci del male, noi gli faremo del male. Mettiamo in pratica questo principio, continuamente e negli ultimi giorni», ha aggiunto oggi nel suo discorso. «Dal 7 ottobre siamo stati attaccati su molti fronti dagli affiliati dell’Iran, Hamas, Hezbollah, gli Houthi, le milizie in Iraq e Siria» ha affermato. «Israele - ha concluso - è pronto, in difesa e in attacco, a qualsiasi tentativo di colpirci, da qualsiasi luogo». Intanto sono quasi 1,5 milioni i palestinesi ammassati nell’area al confine con l’Egitto, molti dei quali vivono in tende. Decine di persone hanno lasciato Rafah a piedi, temendo l’affondo di Israele nell’area, in auto e su carri trainati da asini e sono tornate a Khan Yunis oggi dopo il ritiro israeliano, secondo quanto mostrano immagini dell’AFP.