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Rappresaglia Usa in Siria e Iraq: bombe sulle milizie filo-Iran, mezz'ora di inferno

«Almeno 85 obiettivi» collegati ad attività dei Corpi delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana sono stati colpiti in raid aerei condotti dagli Stati Uniti in Iraq e in Siria: lo ha riferito lo US Central Command, il Comando centrale delle forze americane. In una sua comunicazione si riferisce che l’operazione è partita veenrdì 2 febbraio a seguito dell’uccisione di tre soldati durante un bombardamento con drone su una base statunitense in Giordania. «La nostra risposta è cominciata» ha detto ieri sera il presidente americano, Joe Biden. «Continuerà quando e dove vorremo».

Secondo il Central Command, a compiere i raid sono stati «molti aerei, compresi bombardieri strategici a lungo raggio partiti dagli Stati Uniti». Colpiti, stando a questa versione, centri di comando e controllo, basi di intelligence, magazzini di armi e altre strutture legate a milizie o unità della Forza Quads, un corpo di elite delle Guardie rivoluzionarie di Teheran. Il bombardamento in Giordania era stato rivendicato da un gruppo denominato Resistenza islamica in Iraq. Dopo i raid di ieri, i media di Stato siriani hanno denunciato «un’aggressione americana» che ha provocato morti e feriti. A protestare anche l’Iraq, attraverso il portavoce militare Yahya Rasool, citato anche dall’emittente Al Jazeera. «Questi raid aerei», ha denunciato l’ufficiale, «costituiscono una violazione della sovranità dell’Iraq e pongono una minaccia che potrebbe avere conseguenze nefaste per l’Iraq e per la regione». 

  

 

Così, cinque giorni dopo l’attacco di droni in Giordania che ha ucciso tre soldati americani e ne ha ferito altri 40, gli Stati Uniti hanno lanciato l’offensiva di rappresaglia contro le milizie filo-iraniane in Iraq e Siria. Una pioggia di missili, lanciati da caccia e bombardieri alcuni arrivati dagli Usa, su decine di obiettivi. I bombardamenti sono cominciati nella tarda serata italiana e sono durati mezz’ora, durante la quale sono stati colpiti 85 obiettivi e strutture legate ai Pasdaran e alle milizie filo-Teheran: tre dei siti colpiti erano in Iraq, quattro in Siria. «Oggi è cominciata la nostra risposta», ha fatto sapere poco dopo il presidente, Joe Biden che poche ore prima, presso la base aerea di Dover nel Delaware, insieme alla moglie Jill e ai vertici della Difesa aveva assistito al rientro delle salme dei soldati Usa. «Continuerà nel momento e nel luogo prescelti. Gli Stati Uniti non sono alla ricerca di guerre in Medio Oriente o in nessun altra parte del mondo. Ma che sappiano tutti coloro che potrebbero farci del male: se farete del male agli americani, noi risponderemo».

 

Secondo il Pentagono, tra gli obiettivi attaccati ci sono centri operativi, di intelligence, arsenali di razzi e missili, magazzini di droni e strutture logistiche legate ai vari attacchi che i gruppi filo-iraniani hanno commesso nelle ultime settimane contro le forze statunitensi. Dalle prime notizie in loco, sembra che siano morti almeno 18 membri di queste milizie. Le azioni si sono concentrate nell’area di Al Mayadin, considerata la ’capitale iranianà in Siria, e nel distretto di Al Bukamal, al confine con l’Iraq e importante via di rifornimento. Secondo il Comando Centrale degli Stati Uniti, gli attacchi hanno utilizzato «più di 125 munizioni di precisione» e sono stati lanciati da numerosi aerei, compresi i bombardieri B-1 a lungo raggio decollati dalle basi negli Stati Uniti. Sebbene stiano ancora «valutando» gli effetti dei bombardamenti, le autorità americane hanno assicurato che gli attacchi hanno avuto «successo» e hanno colpito con precisioni obiettivi militari in entrambi i Paesi.

Oltre a inviare un messaggio alle milizie filo-iraniane e alla Guardia rivoluzionaria, ha spiegato in un incontro con i giornalisti il portavoce del Consiglio di sicurezza John Kirby, i raid mirano a «indebolire» la loro capacità militare «in modo più vigoroso». Kirby ha aggiunto che gli obiettivi bombardati sono stati «scelti con cura» per evitare vittime civili e che gli Stati Uniti hanno «prove inconfutabili» che fossero collegati ad attacchi contro il personale americano nella regione; e ha sottolineato gli Stati Uniti avevano precedentemente informato il governo iracheno ma che non hanno più avuto comunicazioni con l’Iran dopo l’attentato che aveva ucciso i tre soldati nella base militare statunitense nota come Torre 22 (il sito in Siria dove sono di stanza circa 350 soldati che svolgono compiti, tra cui il sostegno alla coalizione internazionale per contrastare l’Isis). «Questo è l’inizio», ha detto il capo del Pentagono Lloyd Austin. Ma non è detto che si tratti sempre di attacchi aerei, è probabile che gli Usa facciano anche ricorso ad azioni di guerra cibernetica contro l’Iran. Anche per non innescare una conflagrazione più ampia nella regione. Proprio per evitarlo domani da Washington parte l’ennesimo tour nella regione del segretario di Stato Usa, Antony Blinken.