semaforo verde
Israele, il Mossad darà la caccia ai leader di Hamas anche fuori Gaza
Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato di aver incaricato l’agenzia di spionaggio Mossad di rintracciare i vertici del gruppo militante di Hamas che vivono in altri Paesi al di fuori di Gaza. «Ho dato istruzioni al Mossad di agire contro i capi di Hamas, ovunque si trovino», l’annuncio di Netanyahu in una conferenza stampa. La maggior parte dei vertici di Hamas vive in esilio, principalmente nello Stato del Golfo del Qatar e nella capitale libanese di Beirut. Il Mossad è stato accusato di una serie di assassinii all’estero di militanti palestinesi e scienziati nucleari iraniani nel corso degli anni e questa decisione fa entrare nel mirino i numerosi capi del partito terrorista palestinese.
Nel frattempo Haarez, quotidiano israeliano, ha svelato che negli ultimi giorni c’è stata una netta «inversione di rotta» nella posizione dei vertici della Difesa israeliana - dal ministro Yoav Gallant al capo di Stato maggiore Herzi Halevy e, in misura minore, il capo dello Shin Bet Ronen Bar - riguardo l’accordo per la liberazione degli ostaggi. Questione in un primo tempo che consideravano «all’ultimo posto» nelle priorità della guerra, sottolinea il quotidiano in un editoriale, ma che poi ha scalato la classifica sulla spinta delle proteste dei familiari e delle pressioni dell’Amministrazione Usa. Una settimana fa, ricorda il giornale, i ministri Gadi Eizenkot e Benny Gantz erano in minoranza nel gabinetto di guerra nel sostenere la necessità di accettare l’intesa. Tra gli alti funzionari della Difesa, solo il coordinatore per i prigionieri e le persone scomparse, Nitzan Alon, e il capo del Mossad, David Barnea, erano d’accordo con loro. I termini dell’intesa non sono cambiati nell’ultima settimana. Ciò che è cambiata è quindi la posizione israeliana.
Nella prima fase della guerra, Gallant e Halevy erano determinati a colpire Hamas, spinti dal «terribile senso di colpa» per la loro responsabilità per la strage del 7 ottobre. L’impressione era che alcuni alti funzionari credessero che le continue incursioni di terra avrebbero portato a un miglioramento delle condizioni per gli ostaggi, senza essere in grado di spiegare come ciò sarebbe accaduto. La settimana scorsa è successo qualcosa, fa notare il giornale israeliano, secondo cui la ’battaglià delle famiglie dei rapiti si è intensificata e ha ottenuto un crescente sostegno pubblico grazie alla marcia da Tel Aviv a Gerusalemme e ad altri grandi manifestazioni. Il ministero della Difesa e i vertici dell’esercito si sono resi conto che insistere con le operazioni di terra senza concedere una pausa ai combattimenti per liberare gli ostaggi avrebbe esacerbato la spaccatura interna. Qui è entrato in gioco il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, tramite la Cia. Biden ha contribuito a chiudere l’accordo - la cui entrata in vigore è stata rinviata a domani - con l’aiuto del Qatar.