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Attanasio, dietro la morte in Congo il racket di visti per l'Europa

Edoardo Romagnoli
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La morte dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio potrebbe essere legata al racket dei visti. Il diplomatico è stato ucciso in un agguato il 22 febbraio del 2021 a Goma, nel nord del Congo, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo. Inizialmente si era parlato di una rapina, ma la verità sembra essere un’altra. Attanasio sarebbe stato ucciso perché voleva denunciare una vera e propria compravendita di visti per l’area Schengen. In Congo, dove lo stipendio medio mensile ammonta a 200 euro, un visto per l’area Schengen può valere tra i 5 e i 6mila euro. «La quantità di persone che arrivano in Italia con visti business e turistici supera di gran lunga quello di chi arriva con i barchini. Tra l’altro chi arriva in aereo non viene controllato quanto chi arriva via nave e questo pone una questione importante di sicurezza nazionale» ci racconta il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe. L’onorevole, eletto nella circoscrizione estera dell’America centrale e settentrionale, ha denunciato un tentativo di corruzione proprio nell’ambito dei visti. A seguito dell’esposto è finito sotto scorta per le minacce ricevute «da gentiluomini italiani». Per questo anche lui è portato a credere che la morte del diplomatico italiano possa essere legata al racket dei visti più che a una rapina e per vederci chiaro ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica perché si facciano nuove indagini.

 

 

«Ricevo ogni giorno telefonate, da tutto il mondo, di funzionari e ambasciatori "fedeli" che mi raccontano tutti la stessa storia» spiega Di Giuseppe. È un giro d’affari enorme, «si parla di più finanziarie anche perché il prezzo di un visto va dagli 8 ai 15mila euro. Poi una volta ottenuto arrivano in Italia e, alcuni, chiedono anche il ricongiungimento familiare spesso con persone che sono parenti fittizi». Ci sono anche una serie di morti sospette che proverebbero come il fenomeno sia effettivamente dilagante. Nel 2016 Mauro Monciatti, un ispettore della Farnesina di 63 anni, è stato trovato morto nella sua abitazione a Caracas in Venezuela. In un primo momento si era parlato di morte violenta, poi di malore, ma la verità sarà difficile da verificare visto che il corpo è stato cremato. E questo è solo uno dei casi di cui anche l’onorevole Di Giuseppe si sta occupando prendendo spunto da un’inchiesta della giornalista Antonella Napoli.

 

 

Nel frattempo il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Roma ha convocato, per il prossimo 30 novembre, un funzionario della Farnesina che dovrà riferire sulla prassi e la procedura utilizzata per le comunicazioni con i funzionari del Ministero degli Esteri non in servizio in Italia sul procedimento penale per gli omicidi dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci. Gli imputati che dovranno rispondere di omicidio colposo sono Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza. L’accusa è rappresentata dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco e della sostituta Gianfederica Dito. Secondo la pubblica accusa, Leone e Rwagaza sarebbero stati gli organizzatori della missione in Africa dove persero la vita tre persone. Sono tanti gli aspetti da chiarire. Perché l’auto guidata da Milambo e su cui viaggiavano Attanasio e Iacovacci non era blindata? Perché venne scelto proprio quel giorno per recarsi in una delle zone più pericolose del Congo, visto che era stata diramata un’allerta di sicurezza per cui molti militari erano stati richiamati a Goma lasciando sguarnita la strada? Tutti interrogativi che dovranno trovare risposta per poter accertare la verità sul caso Attanasio. Verità che potrebbe scoperchiare un vaso di pandora molto più profondo di quanto appare.

 

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