Terrorismo, l'Unione europea accelera sui rimpatri veloci
Le armi non accennano a tacere in Medioriente e l’Europa teme per la sua sicurezza. I ministri degli Interni, riuniti a Lussemburgo, hanno parlato di misure antiterrorismo, dopo i fatti di Arras e Bruxelles, e deciso di accelerare sui rimpatri dei migranti che rappresentano una minaccia. Venerdì 20 si terrà una riunione con il coordinatore dell’Ue per i rimpatri e gli Stati membri per capire come poter accelerare le procedure di rimpatrio delle persone con precedenti sospetti o pericolosi. In attesa che venga approvato il pacchetto del Patto Migrazione e Asilo, che contiene anche le misure di rimpatrio immediato e obbligatorio in questi casi, bisogna correre ai ripari. Negli ultimi anni sono stati stretti diversi accordi con i paesi di origine - tra cui l’Iraq, il Bangladesh, il Pakistan, il Senegal - e quest’anno i rimpatri sono cresciuti del 20%, ma occorre fare di più, è il messaggio della commissaria Ue agli Affari interni, Ylva Johansson.
L’Esecutivo comunitario ha messo sul tavolo anche la proposta di un progetto pilota insieme agli Stati membri per accelerare l’attuazione delle decisioni di rimpatri. Il caso dell’attentatore di Bruxelles, il tunisino Abdesalem Lassoued, è stato «un campanello d’allarme». Anche perché era in Europa da 12 anni e non aveva diritto di restarci, visto che la sua domanda di asilo era stata respinta da ben quattro Stati membri. Bruxelles vuole scandagliare anche il web con l’obiettivo di «fermare chi diffonde discriminazione, disinformazione e incitamento all’odio, antisemitismo, islamofobia e razzismo», afferma la presidenza del Consiglio Ue, grazie anche alle nuove norme del Digital Services Act già attivate contro le principali piattaforme social. C’è poi il fronte della libera circolazione garantita da Schengen, uno dei capisaldi dell’Unione. A oggi nove Paesi hanno deciso una sospensione temporanea, reintroducendo i controlli alle frontiere. L’ultimo è stata l’Italia con la Slovenia ma anche quest’ultima ha annunciato una misura analoga ai confini con Croazia e Ungheria per arginare la pressione sulla rotta balcanica.
«Schengen non è morta, ma è rotta e ha bisogno di essere riparata», è stata la frase lapidaria del ministro dell’Interno austriaco, Gerhard Karner, pronunciata in un punto stampa con l’omologa tedesca, Nancy Faeser. Il ministro Matteo Piantedosi ha assicurato che la misura è «temporanea e proporzionata», e annunciato un incontro a Trieste - probabilmente già il 2 novembre - con Slovenia e Croazia «per concordare insieme delle modalità di attuazione di una collaborazione». Il conflitto mediorientale è stato al centro anche della plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo. Con una risoluzione approvata a larghissima maggioranza, l’Eurocamera ha chiesto una «pausa umanitaria» del conflitto a Gaza. Nel testo, non vincolante, i deputati sottolineano che attaccare i civili e le infrastrutture, compresi gli operatori delle Nazioni Unite, quelli sanitari e i giornalisti, è una grave violazione del diritto internazionale. L’Eurocamera rimarca che sia gli attacchi di Hamas che la risposta israeliana rischiano di intensificare il ciclo di violenza nella regione e sollecitano l’Egitto e Israele a cooperare con la comunità internazionale per istituire corridoi umanitari verso la Striscia di Gaza. Da Strasburgo arriva, inoltre, la condanna degli attacchi di Hamas, che deve essere eliminata, ma anche il rinnovato appoggio a una soluzione negoziata, fondata sulla coesistenza di due Stati sulla base dei confini del 1967.