Medio Oriente
Medio Oriente, apre il valico Rafah. L'Iran: "Non saremo spettatori"
Israele avvierà «operazioni militari significative» a Gaza solo dopo la completa evacuazione dei civili. Lo ha detto alla Cnn, Jonathan Conricus, portavoce delle forze di difesa israeliane in una giornata difficilissima dal punto di vista diplomatico, in cui i margini per evitare una terribile escalation del conflitto sembrano assottigliarsi di ora in ora. A fare notizia, ieri, le parole del ministro degli Esteri iraniano, Hussein Amir Abdollahian: «Se gli sforzi per porre fine all’aggressione di Gaza non avranno successo, l’estensione dei fronti di guerra non è improbabile e la probabilità aumenta di ora in ora. Se l’entità sionista decide di entrare a Gaza, i leader della resistenza trasformeranno le forze di occupazione in camposanto. L’Iran - ha aggiunto - non può rimanere spettatore in questa situazione». Poche ore prima un alto esponente dei Guardiani della rivoluzione islamica, Mohammad Akiki, era stato ferito in modo grave, ma non mortale, a colpi d’arma da fuoco a Teheran. Un pericolo, quello dell’opposizione interna che il regime iraniano non vuole correre e per questo un "coinvolgimento" anche diretto nella guerra tra Israele e Hamas - ragionano gli esperti- potrebbe essere funzionale agli obiettivi interni.
Certo è che ieri si sono intensificati lanci di razzi da parte degli Hezbollah - "dipenenti diretti" dell’Iran- dal Libano verso Israele e pasdaran sarebbero stati individuati in movimento verso il confine nord. A delineare il nuovo blocco politico, dopo le parole di Vladimir Putin che ha definito Gaza «come Stelingrado», è stato ieri il ministro degli Esteri cinese Wang Yi che ha chiamato il suo omologo iraniano per ufficializzare la presa di posizione di Pechino «che si schiera contro Israele e sostiene la giusta causa del popolo palestinese nella salvaguardia dei suoi diritti nazionali». È il timore della Casa Bianca, secondo cui «non si può escludere che l’Iran scelga di impegnarsi direttamente in qualche modo» nel conflitto. «Dobbiamo prepararci per ogni possibile imprevisto», ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan confermando l’invio degli Stati Uniti di un’altra portaerei, la Eisenhower, nel Mediterraneo orientale per aiutare «a scoraggiare azioni ostili contro Israele o qualsiasi tentativo di ampliare questa guerra». Continua intanto, incessante, la missione diplomatica del segretario di Stato americano, Antony Blinken, da giorni in Medio Oriente per scongiurare l’allargamento del fronte e garantire un equilibrio fragilissimo anche tra i paesi arabi meno integralisti. A cominciare dall’Egitto, che ha un ruolo chiave.
Il presidente egiziano, Abdel Fatah al-Sisi, a margine del colloquio con Blinken ha ribadito «che la reazione di Israele all’attacco di Hamas è andata oltre l’autodifesa e si è tradotta in una punizione collettiva». Tuttavia l’incontro di ieri è servito a raggiungere un primo, importante traguardo: «Rafah si aprirà», ha detto Blinken ai giornalisti dopo l’incontro al Cairo. «Stiamo istituendo, in collaborazione con l’Onu, l’Egitto, Israele e altri, un meccanismo per portare assistenza a coloro che ne hanno bisogno». Gli Stati Uniti avevano raggiunto un accordo con Egitto, Israele e Qatar affinché centinaia di stranieri e palestinesi con passaporti di altri paesi, compresi cittadini americani ed europei, potessero lasciare la Striscia di Gaza attraverso il valico ma la condizione egiziana posta era quella di consentire il passaggio degli aiuti umanitari per i 2,2 milioni di persone nella Striscia. Un segno importante che si aggiunge alle parole del segretario di Stato americano: «Tra i Paesi arabi alleati degli Usa c’è il desiderio di contenere il conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, evitando un allargamento alla regione mediorientale. C’è determinazione in ogni Paese in cui sono andato per assicurarsi che questo non si diffonda.
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Nessuno dovrebbe fare nulla che possa aggiungere benzina sul fuoco in qualsiasi altro luogo. Dalle mie conversazioni con tutti questi Paesi risulta chiaro che condividono fortemente questa visione e stanno usando le proprie relazioni per cercare di assicurarsi che non accada», ha aggiunto il capo della diplomazia Usa che oggi sarà per la seconda volta in Israele per consultazioni. E mentre l’esercito di Tel Aviv si prepara all’attacco di terra, si aggrava la crisi umanitaria nella Striscia dove gli sfollati hanno raggiunto quota un milione e nella quale i morti nel conflitto sono saliti a 2.670, cui si aggiungono i 56 morti registrati nelle violenze in Cisgiordania per un totale di oltre 2.300 palestinesi uccisi. Salgono a oltre 1400, invece, le vittime in Israele a seguito degli attacchi di Hamas. «Per favore non si versi altro sangue innocente», è stato l’accorato appello del Papa durante l’Angelus domenicale. Il Pontefice rinnova poi la sua richiesta per una «liberazione degli ostaggi».