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L'Australia fa tremare la Cina: "Minee subacquee" e tattica dell'istrice

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È solo di qualche giorno fa la notizia secondo cui un sottomarino sarebbe stato ideato per scongiurare una potenziale invasione da parte della Cina. Si tratta dell'ultima arma messa in campo da Taiwan che ha presentato il mezzo navale, progettato e assemblato a livello domestico e costato 1,54 miliardi di dollari. Dopo Taiwan, però, anche l'Australia ha deciso di armarsi per contrastare la minaccia della flotta cinese. Canberra ha optato per la tattica dell'istrice.

 

 

Il governo laburista di Anthony Albanese ha deciso di acquisare oltre 5mila mine subacquee di ultima generazione, che creeranno muro esplosivo intorno ai 19.600 chilometri coste e ai quattordici porti principali. Il ministro della difesa Richard Marles ha spiegato: “Dobbiamo diventare una fortezza e avere armi sufficienti a convincere i rivali a rinunciare ad un attacco”. Questi ordigni, costituiti essenzialmente da un contenitore carico di esplosivo e muniti di dispositivo atto a provocarne l'esplosione a comando o a contatto o a breve distanza, diverrebbero ovviamente il mezzo di difesa più potente dell'Australia. Sebbene gran parte del progetto sia ancora noto a pochi, si comprende che la spesa totale dorebbe corrispondere ai 600 milioni di euro.  

 

 

L'ultima volta che questa topologia di mina è stata usata è nel 1991, nel corso dell'operazione Desert Storm messa in atto dagli iracheni. Questi ordigni subacquei, di forma cilindrica e lunghi circa due metri, con all’interno sistemi elettronici che hanno memorizzato il rumore generato dalle eliche dei bersagli, la massa magnetica degli scafi, la pressione dello spostamento d’acqua che generano al loro passaggio e altre caratteristiche fisiche utili per stabilire con certezza l’identità del vascello entrato nel loro raggio di azione, sono capaci di generare un'onda d'urto dannosa per qualsiasi imbarcazione. 

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