corsa ai ripari
Migranti, il vittimismo delle Ong al Parlamento europeo: "Contro di noi campagna diffamatoria"
Le Ong corrono ai ripari e tentano la carta del Parlamento europeo. Dopo l'apertura del caso Ocean Viking che ha scosso i rapporti tra l'Italia e la Francia e dopo che la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson ha sollecitato l'istituzione di un codice di condotta per le Ong, fortemente auspicato anche da Piantedosi, ribadendo la necessità che anche gli Stati di bandiera delle navi che effettuano salvataggi siano in qualche modo coinvolti nelle operazioni di accoglienza, le Ong hanno tentato la carta del vittimismo.
I rappresentanti di cinque Ong di ricerca e soccorso di migranti nel Mediterraneo hanno scelto il Parlamento europeo, nella sede di Strasburgo dove si tiene la plenaria, per lanciare l'allarme contro la campagna di diffamazione nei loro confronti. In una conferenza stampa, i membri di Open Arms, Sos Mediterrane'e, Medici Senza Frontiere, Seawatch e Rise Above, hanno denunciato l'alto numero di morti sulla rotta del Mediterraneo centrale e hanno chiesto all'Ue che nel nuovo Patto per le migrazioni e l'asilo vengano rispettati i diritti delle persone. "Negli ultimi mesi la situazione è peggiorata molto. Siamo tornati alla situazione del 2017, siamo accusati con le stesse bufale di operare con i trafficanti e al di fuori della legge", ha affermato Valentina Brinis, di Open Arms, che confida che il rifiuto italiano di consentire l'attracco della Ocean Viking non costituirà un precedente e che invece si applicherà il diritto umanitario internazionale. Anche Juan Matias Gil, responsabile delle operazioni di ricerca e soccorso per Medici Senza Frontiere, si è rammaricato di aver rivissuto "un'esperienza già sofferta anni fa" con "diffamazione pubblica e accuse infondate". "Espandono le sofferenze di mille persone con blocchi, silenzi e mancanza di spiegazioni", ha avvertito Gil, che ha raccontato come, sulla sua nave, quando il tempo è peggiorato, hanno preso la decisione di entrare nelle acque territoriali italiane dove è stato emanato poi il decreto per gli sbarchi selettivi. "Nel diritto internazionale non c'è nulla che dica che si possa effettuare uno sbarco parziale. Le persone sono in pericolo e noi le salviamo, o tutte o nessuna", ha affermato il rappresentante di Msf. Per Seawatch, Sophie Scheytt ha spiegato che non si tratta di "puntare il dito contro l'Italia" e ha affermato che "ci sono ragioni europee per cui la situazione si presenta cosi' com'è". "Prima si parlava più di esseri umani, di quelli salvati da un pericolo mortale, ora stanno diventando un pallone in campo europeo perché gli viene negato l'accesso a un porto sicuro", ha sintetizzato Hermine Poschmann, responsabile della ricerca e del salvataggio della nave Rise Above.